PER RIBADIRE LE NOSTRE IDEE. Ancora sulla guerra ucraina e la deriva militarista di parte del movimento

Terzo articolo sul dibattito all’interno del mondo anarchico riguardante la guerra in Ucraina e la partecipazione al conflitto.

Qui l’articolo nella versione PDF

Ai link sottostanti potete leggere i nostri due primi articoli, già pubblicati, sulla guerra in Ucraina:

https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/post/2022/12/28/guerra-in-ucraina-il-dibattito-in-campo-anarchico/

https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/post/2023/01/13/brevi-considerazioni-a-proposito-di-alcune-critiche-allarticolo-guerra-in-ucraina-il-dibattito-in-campo-anarchico/

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Chi grida: “Viva la guerra?”.
Coloro che alla guerra non vanno,
che alla guerra non hanno nulla da perdere,
che alla guerra hanno tutto da guadagnare”.

[Luigi Galleani, Otto articoli pubblicati su “Cronaca sovversiva”,
dal 7 novembre 1914 al 2 gennaio 1915]

Non facciamo alcuna distinzione tra guerre accettabili e inaccettabili. Per noi, esiste un solo tipo di guerra,
la guerra sociale contro il capitalismo e i suoi difensori”

[Risposta al Manifesto dei Sedici da parte del Gruppo degli Anarchici Comunisti russi di Ginevra, in “Put’k Svobode”, Ginevra, maggio 1917, pp. 10-11]

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Il 24 febbraio 2023 ha segnato un anno dall'”operazione speciale” del presidente russo, Valdimir Putin, ovvero dall’invasione dell’Ucraina, la più brutale invasione di un paese da parte di un altro da quella statunitense dell’Iraq. Ad un anno di distanza ed oltre la guerra imperversa ancora e migliaia di morti sembrano non bastare ancora a placare la sete di sangue.

Parte del Donbass, zona dove il conflitto era iniziato già nel 2014, è sotto controllo russo, e l’esercito invasore ha conquistato alcune città, pur se con estrema difficoltà. Ma la regione è tuttora teatro di battaglie e rovine. Varie città sono contese e più volte hanno cambiato amministrazione. Interi quartieri sono divenuti macerie, infrastrutture basilari, soprattutto energetiche, sono state rese inoperanti. Di conseguenza gli abitanti delle zone maggiormente coinvolte dai combattimenti o sono stati sfollati, o sono fuggiti, oppure stanno scontando altissimi disagi, anche per quanto riguarda il semplice procurarsi di che scaldarsi o del cibo.

L’esercito russo ha pure subito dure sconfitte sul campo. L’esercito ucraino ha armi fornite dai governi americano ed europei e forze militari addestrate ed equipaggiate già dal 2014. Di fronte a queste sconfitte, il governo russo ha reagito come al solito, con rappresaglia a suon di bombardamenti con missili ipersonici sui maggiori centri abitati e con la minaccia dell’uso delle armi nucleari. La Cina, partner per ora solo commerciale della Russia (l’altro partner in questa guerra, oltre alla Bielorussia, è l’Iran, che fornisce droni e altre armi) ha presentato a febbraio un piano di pace1, che nessuna delle due parti ha però accolto. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, maggior alleato del governo ucraino, ha bollato la proposta della Cina come irricevibile2.

Intanto il leader ucraino, Volodymyr Zelenskyy, ha ribadito di voler riconquistare l’intero territorio dell’Ucraina. Non solo la parte della regione carbonifera e mineraria del Donbass, nell’est del paese – le due “repubbliche popolari” di Luhansk e Donetsk3 autoproclamatesi indipendenti dal governo filo-occidentale, dove vivono circa 3,7 milioni di persone, di cui una consistente comunità russofona, e dove migliaia di persone posseggono il passaporto russo –, ma anche la Crimea, penisola ucraina del sud che era stata invasa ed annessa da Putin, con un cosiddetto referendum, dopo le rivolte di Maidan del 2014 che portarono alla destituzione di Viktor Janukovyc.

Ricordiamo che le due “repubbliche popolari”, secondo gli accordi di Minsk sottoscritti nel 2015 dai secessionisti, dal governo ucraino e da quello russo, avrebbero dovuto continuare ad essere parte dell’Ucraina in cambio del riconoscimento dello status di regioni autonome. Ma nessuna delle parti ha rispettato questi accordi e per tutti questi anni, dal 2014 fino all’entrata in scena dell’esercito russo, si è continuato a combattere. Putin infine le ha riconosciute come nazioni indipendenti il 22 febbraio 2022, una mossa che è servita da pretesto per l’intervento armato, due giorni prima di avviare l’invasione militare vera e propria.

Lo scenario che si apre è dunque un conflitto di lunga durata, che potrebbe durare ancora per tutto l’anno in corso, dato che nessuna delle parti in causa è disposta a fare concessioni e a trattare le condizioni per la pace. Speriamo di sbagliarci e che le ostilità possano cessare al più presto, con il ritiro dell’esercito russo. Ma ad oggi, questa non è un’eventualità che vediamo prossima. Anzi, col passare del tempo il coinvolgimento delle nazioni alleate dell’una e dell’altra parte nella guerra, prima di tutto attraverso i rifornimenti di sempre nuove armi, tecnologie belliche e reparti scelti di addestratori, si fanno sempre più manifeste.

Di fronte a questo poco incoraggiante scenario, occorre ribadire il nostro posizionamento. Disprezziamo gli ipocriti, i sedicenti “democratici” che abbondano nei partiti italiani, che si mobilitano “contro la guerra”, con gli slogan “tacciano le armi”, “si fermi il conflitto” ma poi approvano e votano le risoluzioni dei vari governi per inviare armi con destinazione Ucraina, con le clientele economiche a cui fanno riferimento che si sfregano le mani perché da quel paese arriveranno nuove braccia da sfruttare nei lavori sottopagati che “gli italiani non vogliono più fare”. Così come proviamo pari disprezzo per coloro che, di fronte all’aggressione vigliacca del governo russo, non si vergognano a definirsi antifascisti mettendo in piedi baracconate pubbliche addobbate con i nastri di san Giorgio e le Z putinane, e nelle quali ci si straccia le vesti quando a morire è un “partigiano del Donbass”4 ma si tace sui crimini del boia Putin. Più che disprezzo, poi, proviamo pena per quei vecchi militanti della sinistra marxista che organizzano lacrimose manifestazioni, formalmente per protestare contro la guerra, ma con una malcelata preferenza per Putin contro il solo occidente guerrafondaio, in compagnia del più raffazzonato aggregato possibile: dal sindacato di destra FISI e dal Fronte del Dissenso che “dichiara il proprio attaccamento alla Patria (…) rifiutando la classificazione destra-centro-sinistra”5, ai movimenti con nomi emblematici tipo Italia Risorge, Riconquistare l’Italia, Ancora Italia (partito sovranista colmo di senatori ex M5S e Lega, fondato dal rossobruno Diego Fusaro, collaboratore del Primato nazionale, organo di CasaPound) fino a partiti screditati come il PC dello stalinista Marco Rizzo che da ex sostenitore dei bombardamenti sulla ex Jugoslavia da parte della Nato nel 19996 è poi finito per fondare il raggruppamento elettorale Italia Sovrana e Popolare, oggi Democrazia Sovrana Popolare, in cui si sono accasati rossobruni e putiniani7. Questi amanti delle patria e della fantasie di complotto, che richiamano i pericoli della dittatura ma solidarizzano con Putin, poiché “argine alla dittatura globalista ed lgbt”, questi semplicemnte ci fanno schifo. Per finire, ovviamente, logicamente più che schifo ci fanno le varie formazioni neofasciste, che al grido di “nessun imperialismo in terra europea” vorrebbero, da perfetti sovranisti e non certo antimperialisti, semplicemente che l’imperialismo dominante sul pianeta fosse europeo, non russo, americano o cinese.

Davanti alla guerra che perdura e a fronte di questo teatrino degli opposti, la fronda militarista, già ravvisata in alcuni settori anarchici dell’est Europa e non solo, si è purtroppo allargata. Sul discorso degli anarchici ucraini il discorso è molto complesso. Si tratta, infatti, di un diverso e discorde approccio dei distinti gruppi anarchici in Ucraina. Alcuni di questi orientamenti sono, a nostro avviso, difficilmente comprensibili per la maggioranza degli anarchici italiani. Altri posizionamenti sono, detta francamente, totalmente inaccettabili. Ad esempio, nei documenti tradotti dal Collettivo multilingue Crimethinc8 e prodotti da alcun* compagn* ucrain*, si riferisce di alcuni anarchici che sono stati addestrati dai neonazisti del battaglione Azov, di altri che hanno finito per abbandonare la militanza anarchica e si sono avvicinati alle frange nazionaliste oppure di altri ancora che hanno deciso volontariamente di arruolarsi nell’esercito regolare ucraino, per potersi garantire le armi, con tanto di sfoggio di mostrine con la bandiera bicolore ucraina esibite sulla divisa mimetica (e nelle foto fatte circolare senza ritegno sui social network).

Ripetiamo, sono cose che sono dure da digerire e inconcepibili, dal nostro punto di vista di anarchici che abitano in Italia. Non dobbiamo però darle per scontate, in un paese in guerra più o meno aperta dal 2014 e dove ogni parte in causa ha esasperato il vocabolario nazionalista. Un paese dove alcune cose emergono con sufficiente chiarezza: la capacità dell’estrema destra di cogliere la palla al balzo durante le proteste del 2014 che scalzarono il presidente Janukovyc, prendendo l’egemonia delle rivolte di piazza e vedendosi poi riconosciuta come parte dell’esercito regolare, anche attraverso un’abile presenza organizzativa, anche se a livello politico non si è però tradotta in preferenze elettorali, visto che i partiti di estrema destra fanno registrare percentuali molto basse alle elezioni, le quali hanno sempre premiato i partiti liberali europeisti. Dall’altra parte emerge chiara l’incapacità del movimento anarchico di attuare una propria strategia riconoscibile in Ucraina, riducendosi a rincorrere la destra sul terreno militarista e patriottico, temendo altrimenti di condannarsi all’inesistenza e all’inefficacia pratica.

Quello che ci preoccupa maggiormente è che questa deriva militarista sta contagiando anche alcuni anarchici che non si trovano coinvolti sui territori in guerra, e che avrebbero dunque la possibilità di ragionare con più calma e fuori dall’impeto dei sentimenti. Abbiamo per esempio già scritto, sul nostro sito, della redattrice di Freedom, Zosia Brom. Ma questa deviazione dai tradizionali ideali antimilitaristi coinvolge anche l’Italia, dove da qualche tempo sta circolando un libro, che ha avuto anche alcune presentazioni in circoli e spazi anarchici, intitolato “Qui siamo in guerra – Anarchia, antifascismo e femminismo in Ucraina, Russia e Bielorussia. Scritti e testimonianze”, edito nel 2022 da Edizioni Malamente9, emanazione dell’omonimo trimestrale di area libertaria nato nel 2015 nella regione Marche.

Il libro in questione riporta alcune testimonianze ed analisi sulla guerra in corso, da parte di gruppi anarchici – e altri gruppi di sinistra – di quei paesi. Il curatore del volume, Nerofumo, nell’operare la selezione dei testi inseriti, ha però voluto privilegiare quelli che forniscono una particolare visione palesemente orientata a promuovere la partecipazione armata a fianco dello Stato ucraino, al di là di alcune sfumature. Oltre ad ignorare e sottacere completamente il fenomeno delle diserzioni su entrambi i fronti, nella selezione dei contributi inserirti nel libro non sembra essere stata tenuta in considerazione la scelta che hanno fatto quei gruppi anarchici dell’est Europa, anche ucraini, che hanno deciso di non prendere posizione per nessuno dei contendenti in guerra ma di sostenere invece attivamente i disertori, ciononostante esistano in merito discussioni e comunicati di gruppi e collettivi, e di intere federazioni come quella russa del KRAS-MAT10.

Nel libro, come abbiamo detto, ci sono diversi componimenti e interviste ad organizzazioni anarchiche e coordinamenti di sinistra che stanno sostenendo lo Stato ucraino nello sforzo bellico, in alcuni casi entrando direttamente nelle forze armate o in unità territoriali composte da civili sottoposte al controllo statale, quindi con limitatissima se non nulla autonomia militare e decisionale. Per quanto riguarda una di queste organizzazioni, Solidarity Collective, essa è nata da una scissione della precedente Operation Solidarity, che si è sciolta a seguito di dissidi interni riguardanti la non chiarezza su come venivano usati i soldi donati dall’estero. Oggi Solidarity Collective rilascia dichiarazioni di questo tenore: “Fin dall’inizio della guerra, il nostro compito principale è stato quello di fornire agli attivisti anti-autoritari che si sono uniti alle unità militari tutto ciò di cui avevano bisogno. Grazie alle donazioni, abbiamo acquistato e consegnato un centinaio di giubbotti antiproiettile (4° standard di protezione), decine di caschi, dispositivi per la visione notturna, termocamere, telemetri, droni, medicina tattica, uniformi militari, scarpe, vestiti e molto altro – attrezzature speciali e di uso quotidiano. Oggi, Solidarity Collectives sostiene regolarmente fino a 80 combattenti, molti dei quali sono in prima linea”11.

Unico contributo del libro a differenziarsi dagli altri, proponendo una visione antimilitarista classica è “Il manifesto internazionalista contro la guerra e la pace capitalista in Ucraina del collettivo Třídní Válka/Class War/Guerre de Classe: ci schieriamo per lo sviluppo del terzo campo…quello del proletariato rivoluzionario internazionalista che si oppone a tutti i campi borghesi guerrafondai presenti… Ci rifiutiamo di schierarci con uno dei due belligeranti borghesi – sia “l’aggredito” ucraino “occupato” che “l’aggressore” russo “occupante”12.

Se dunque volete leggervi altre posizioni di anarchici dell’est Europa a favore della diserzione e quindi molto diversa dalla posizione di Solidarity Collective, dovete cercare altrove. Esiste per esempio un’intervista al gruppo Assembly di Kharkiv, tradotta in varie lingue, in italiano pubblicata su Umanità Nova13.

Un’altra analisi, coerentemente antimilitarista, di un gruppo totalmente ignorato dal libro edito da Malamente, è come detto quella della Konfederatsiya Revolyutsionnikh Anarkho-Sindikalistov (KRAS-MAT)14, che tra l’altro é la sezione russa dell’AIT, ovvero l’Associazione Internazionale dei Lavoratori.

Per chi scrive, anche se ovviamente è comprensibile che ci siano persone che abbiano voluto in qualche modo partecipare alla difesa di un dato territorio in cui vivevano e naturalmente salvaguardare la vita degli abitanti, l’entrare nei ranghi dell’esercito di uno Stato coinvolto in una guerra non ha nulla di anarchico. Uno Stato che, se non fosse già chiaro, non ha nessun carattere rivoluzionario…l’Ucraina non è cioè l’URSS del 1917, l’Ucraina di Machno, o la Spagna del ‘36 per dire. L’unico precedente storico in cui degli anarchici si sono alleati col proprio governo è stato appunto quello della Spagna del ‘36 durante la rivoluzione libertaria, soprattutto in Catalogna… e sappiamo esattamente com’è finita! La rivoluzione fallì perché fu data la priorità alla guerra tradizionale di un esercito contro l’altro. Tra l’altro, come abbiamo avuto già modo di scrivere in altri articoli, nel contesto spagnolo si aveva la scusante della preoccupazione della difesa della rivoluzione in corso contro i fascisti del “generalissimo” Franco. Nel contesto ucraino non c’è nessuna rivoluzione da difendere ma un conflitto inter-imperialistico che il governo ucraino combatte non solo per sé stesso ma anche per conto degli alleati occidentali (Nato, Usa, Ue), i quali hanno tutto l’interesse a prolungare il conflitto contro il blocco rappresentato dalla Russia e dai suoi alleati e, in prospettiva, dalla Cina.

Gli ucraini che combattono per Putin e quelli che combattono per Zelenskyy massacrano e si fanno massacrare in una guerra che ha tutti i crismi del conflitto per procura, anche se non vogliono ammetterlo. Ovviamente rimane il fatto che la forza militare russa è una pericolosa macchina da guerra, che vorrebbe restaurare le perdute sfere di influenza a scapito dei paesi vicini, ed è anche un regime insopportabile per chi ci si ritrova a vivere. Ma questo aspetto, che è indiscutibile, secondo noi non può però mettere in secondo piano ogni principio per abbracciare il nazionalismo ucraino o la Nato. Significherebbe altrimenti che i propri principi valevano ben poco.

Non è vero nemmeno, come spesso si vorrebbe fare intendere, che le organizzazioni anarchiche dell’est Europa abbiano tutte, nessuna esclusa, una posizione interventista in questo conflitto. Ci sono, è vero, alcune federazioni (ad esempio la federazione anarchica ceca) e qualche altro gruppo che si sono espressi a favore dell’appoggio alla così detta ”resistenza ucraina”. Ma ce ne sono altrettanti che, differentemente, hanno più volte ribadito il loro internazionalismo, il loro disfattismo rivoluzionario, quella posizione che non vuole appoggiare nessuna parte in guerra perché a tutte è nemica. Alcuni esempi li abbiamo già fatti più sopra. Ma è il caso, per esempio, dell’accurato testo “L’antimilitarismo anarchico e i miti sulla guerra in Ucraina”, pubblicato in ceco da alcuni anarchici dell’europa centrale sul sito https://antimilitarismus.noblogs.org, e che abbiamo a nostra volta pubblicato sul nostro sito internet nella versione italiana tradotta dal sito multilingue “TŘÍDNÍ VÁLKA # CLASS WAR # GUERRE DE CLASSE15, in cui si demoliscono una ad una le troppe mitologie lette e sentite che hanno provato ad avallare l’intervento a fianco dell’Ucraina ed attaccare le posizioni antimilitariste.

Ovviamente l’argomento è difficile e delicato, ed è sempre facile, come abbiamo ripetuto nei nostri precedenti scritti, prendere una posizione netta quando si è da questa parte del mondo e la guerra è un’eco lontana. È abbastanza esplicativo il fatto che in Ucraina, come anche nei paesi satelliti della Russia dove siedono governi fantoccio di Putin, come il Kazakistan e la Bielorussia, ma anche nella stessa Russia, tutti gli appartenenti a gruppi anarchici, al di là di come la pensino sulla partecipazione alla guerra, siano d’accordo sul fatto che la Russia putiniana sia molto peggiore di un comunque deprecabile governo democratico. C’è da dire che da quelle parti, Putin e i dittatori dei paesi suoi alleati, li conoscono meglio di quanto non li conosciamo noi.

Abbiamo sempre detto che l’atteggiamento degli anarchici ucraini, pur considerandolo un madornale errore strategico, però riusciamo a comprenderlo. Non comprendiamo però quando la propaganda a favore della tanto osannata “resistenza ucraina”, che al di la della terminologia romantica che rimanda alla Resistenza contro il nazifascismo non è se non l’arruolamento nell’esercito dello Stato ucraino, vien fatta da anarchici occidentali, e fra questi da alcuni esponenti italiani.

Quando sentiamo da un anarchico occidentale, ancor meglio italiano, che è comodo giudicare da una posizione come la nostra, perché non ci troviamo coi missili e i carri armati nel giardino di casa, si piacerebbe che si cercasse di essere per lo meno onesti: nemmeno chi ci critica qui in Italia si è armato, zaino in spalla, ed è andato a combattere in Ucraina. Se la nostra posizione è tacciata come ideologica per il fatto di essersi formata lontana dai missili, lo stesso si può ben dire della posizione contraria, per esempio quella tenuta dal curatore del libro di Malamente, che sembra approvare il massacro di anarchici per difendere lo Stato ucraino ma non va direttamente ad arruolarsi e a combattere in prima linea, cosa che almeno sarebbe coerente.

La verità è, secondo noi, che invece la giusta distanza permette a volte di essere obiettivi e di guardare alle cose senza l’incombere dell’urgenza e dell’emotività estrema. Altrimenti ogni opinione, su qualsiasi questione, dovrebbe valere solo se riferita al proprio vissuto privato e limitarsi a quello. Così facendo si finirebbe per privarsi della capacità di analizzare ciò che succede nel mondo, e di dare una spiegazione ai differenti avvenimenti che, se lasciati a sé stanti, come avvenimenti slegati dal contesto generale, ci direbbero molto poco sulle dinamiche d’insieme. Si finirebbe per essere avulsi dalla totalità degli eventi e attratti solamente dal particolare. Così da precipitare dalla tara dell’universalismo alla parzialità di un relativismo giustificatore.

Che Putin sia un despota omicida, che governi la Russia col terrore, che sia un estimatore di fascisti antisemiti come Ivan Ilyin16 o come l’eurasiatista Alexandr Dugin17, che sia un nostalgico dell’epoca degli Zar, un cultore dei valori della della Chiesa ortodossa, un repressore delle minoranze etniche e dei diritti delle persone Lgbtqia+, nonché un finanziatore dei movimenti neofascisti e sovranisti in tutta Europa, questo lo sappiamo benissimo.

Che la strategia di Putin non sia dettata dalla sola sindrome di accerchiamento da parte della NATO18, ma dalla sua volontà propria di subordinare i paesi dell’ex blocco sovietico ed espandere il proprio territorio in zone ricche di materie prime da estrarre e con importanti sbocchi marittimi, lo sappiamo altrettanto bene. Sappiamo che la propaganda russa ha usato gli abitanti del Donbass per giustificare l’invasione, accusando l’Ucraina di “genocidio” mentre oggi è l’esercito russo a radere al suolo le città e i villaggi di questa stessa regione. Come sappiamo che a fronte dell’enorme arsenale di testate nucleari che possiede, la narrativa di una Russia presentata come vittima predestinata della Nato è difficilmente difendibile.

Noi non siamo di quegli strani “antimperialisti” a senso unico – come certi personaggi afferenti alla sinistra nostalgica dei tempi del baffone, che se la prende solo con la Nato – che pensano che la Russia di Putin non sia uno Stato imperialista. Questo perché ricordiamo bene l’annessione della Crimea, i bombardamenti su Aleppo a difesa del regime di Assad (che hanno causato circa 6.000 civili uccisi) e le ingerenze in Libia per appoggiare il generale Haftar. Varrebbe anche la pena ripassare la storia recente della presenza delle forze militari russe in Africa, continente dove la Federazione sta guadagnando terreno per conquistarsi sfere di influenza e materie prime in cambio d’armi, con modalità colonialiste concorrenziali ma del tutto simili ai paesi occidentali. Com’è ormai noto, in Centrafrica, come già era successo in Siria, in Libia, nel Mali [vedi https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2022/04/la-russia-gioca-alla-guerra-anche-in.html] e nel Donbass ed ora anche nella guerra in Ucraina, la Russia ha operato attraverso la famigerata brigata di mercenari Wagner, i cui fondatori sono il neonazista Dmitry Valeryevich Utkin e il ricco imprenditore Evgenij Viktorovič Prigožin. Fa semplicemente ridere che proprio Putin giochi la carta della “denazificazione” dell’Ucraina, dato che la sta portando avanti con… i neonazisti!

Non abbiamo dubbi sulla natura pretenziosa delle giustificazioni russe. Non accettiamo l’interpretazione putiniana che Ucraina e Russia siano una sola cosa, un’unica nazione separata che deve tornare ad essere unita. Non solo perché è falsa, perché è vero invece che all’interno della Federazione Russa e della stessa Ucraina convivono diversi ceppi linguistici e diverse minoranze etniche, di solito oppresse, ma anche perché è anche totalmente indifendibile sul piano etico. È come se l’Austria invadesse il sud Tirolo, rivendicandolo a sé sulla base di un etnocentrismo linguistico, o il Portogallo pretendesse l’annessione del Brasile. Questo è nazionalismo etnocentrico allo stato puro usato come cavillo dagli Stati di ogni epoca per intraprendere un’azione militare. Agli anarchici non interessano i confini statali, se una comunità si vuole unire per un interesse particolare, fosse anche l’appartenenza ad uno stesso ceppo linguistico (anche se per noi non dovrebbero esistere confini di sorta, nemmeno linguistici), lo faccia al di fuori dalle logiche statali, fuori dalle frontiere dell’istituzione Stato.

D’altra parte, non è da meno l’occidente che si esprime ormai in maniera oscena attraverso una russofobia esasperata che ha preso di mira, e continua a prendere di mira per esempio, artisti e cultura russi. A marzo 2022 si era persino giunti ad annullare un corso su Dostoevskij alla Bicocca di Milano perché …Dostoevskij è russo! Come se ogni russo e russa, anche quelli morti, fossero colpevoli per le atrocità commesse da quella deiezione umana che è Vladimir Putin.

L’odio per Putin – sacrosanto, imprescindibile, non ci stancheremo mai di ripeterlo – non può giustificare la deriva militarista di parte di movimento, soprattutto in paesi come l’Italia. Proprio perché qui possiamo ragionare a mente fredda, non accecati dall’odio di parte od annichiliti dalla paura, si dovrebbe riuscire ad analizzare la situazione in modo più meditato, senza lasciarsi andare a prese di posizione emotive che non portano da nessuna parte, se non a scontrarsi con la parte di movimento che è coerentemente rimasta sulle posizioni antimilitariste. Tacciare come astratte ed inconcludenti le posizioni antimilitariste non ci fa avvicinare di un millimetro alla risposta del quesito che ci dovremmo porre. Cioè: come mai una parte importante del movimento anarchico internazionale non si è schierato dalla parte della cosiddetta “resistenza ucraina”, pur odiando con tutto il cuore Putin e condannando la sua vigliacca invasione? È questo un interrogativo che necessita di una risposta che sappia andare di là delle semplicistiche e a volte sleali accuse con cui la parte “militarista” del movimento rimprovera agli antimilitaristi la loro supposta “inerzia” ideologica.

Un’affermazione dei sostenitori dell’appoggio armato all’Ucraina asserisce, infatti, che visto che la sinistra e gli anarchici hanno sostenuto i combattenti del Rojava, nonostante i curdi siriani ricevessero aiuti militari dagli americani, allora anche oggi dovrebbero sostenere la “resistenza del popolo ucraino”…. ovvero quella dell’esercito ucraino. Con quest’affermazione si rileva, ed esplicitamente si riconosce, che ben maggiore è stato l’apporto del movimento anarchico al Rojava armato durante la guerra civile siriana, anche se le brigate Ypg e Ypj erano armate dagli alleati occidentali. Come mai questa differenza? Secondo chi scrive, per due ragioni primarie, che sono poi le ragioni che danno risposta all’interrogativo esposto prima, sul perché parte importante del movimento anarchico non si è schierato apertamente dalla parte della “resistenza ucraina”.
Prima ragione: che gli americani tentassero di fare i loro interessi in Siria per destabilizzare il governo del despota Bashar al-Assad, sostenuto dall’amico Putin, era chiaro, ma le milizie curde erano comunque percepite come aventi
un alto grado di autonomia politica rispetto a chi le riforniva di armi. Seconda ragione, la ragione più importante: l’appoggio alle brigate internazionaliste del Rojava si è allargato perché nel nord della Siria i combattimenti e i rifornimenti di armi erano percepiti come necessari per difendere e sviluppare un’idea ed un progetto di società libertaria, e non un regime statale e/o capitalista. Nel Rojava, ancora oggi, pur con tutte le difficoltà e le contraddizioni del caso, non si vive e non si muore per lo Stato siriano, né per instaurare un nuovo Stato curdo. Non si difende uno Stato da un attacco di un altro Stato. Si vive e si muore per dimostrare che un altro modo di concepire ed attuare l’organizzazione sociale è possibile, al di là e al di fuori dello Stato. Sono differenze non da poco, che secondo noi occorre tenere presenti.

Occorre ripeterci: noi non siamo contro l’invio di armi a delle brigate partigiane che operano sul terreno per quanto possibile indipendentemente. Del resto, è quanto avvenuto anche durante la Resistenza italiana. Inviare soldi, armi, equipaggiamenti e magari anche dei combattenti a gruppi che non operano autonomamente ma sono inquadrati nell’esercito di un paese in guerra, però, non è la stessa cosa dell’appoggiare, direttamente o indirettamente, bande partigiane di cui invece si possono condividere le posizioni ideologiche, le pratiche e gli obiettivi, proprio perché mantengono un loro livello visibile di indipendenza.

Appianare ogni cosa con il dire che si deve stare sempre e comunque con gli aggrediti, non è una argomentazione seria. Chi ci accusa di avere posizioni di astratto antimilitarismo nei confronti della guerra in atto, perché consideriamo uno sbaglio la propaganda e la mobilitazione a favore di quei segmenti di movimento anarchico arruolati dallo Stato ucraino, cade a sua volta in un astrattismo ideologico imbarazzante, quando a sostegno delle proprie tesi sposa il ragionamento che dovremmo stare “con gli aggrediti contro l’aggressore”. Affermare una tale banalità è una semplificazione che mira essenzialmente a non rispondere alle critiche, e a nascondersi sotto una coltre giustificazionista.

Non facciamone questione di equidistanza. Tra un esercito aggressore e la popolazione colpita, non è possibile naturalmente nessuna equidistanza nemmeno ipotetica. Messa in questi termini, è chiaro che si deve stare sempre dalla parte degli aggrediti. Ma noi non sosteniamo che di fronte ad una aggressione non ci debba essere resistenza. Crediamo nel pieno diritto di una popolazione alla legittima difesa, sia contro i tiranni interni ma anche contro quelli venuti da fuori. Nel caso specifico, vogliamo il ritiro incondizionato delle truppe di invasione russe e la fine delle violenze. Solo che non crediamo che il modo giusto per realizzare questa difesa, o questa resistenza che dir si voglia, sia il partecipare ad una guerra nei ranghi dell’esercito, portando benzina alla macchina dello Stato e al governo. Lascetecelo dire: la retorica con cui si cerca di presentare la difesa militare dello Stato ucraino come resistenza di popolo non ci piace per niente. Per gli anarchici, condurre una lotta partigiana davvero indipendente, sul piano politico e militare, sarebbe stato decisamente più appropriato e legittimante. L’autodifesa armata significa, appunto, difendersi da sé. Se la difesa la fa un esercito non è più autodifesa, ma viene demandata al potere statale. Perfino ovvio ricordarlo. Così quando scriviamo “né con la NATO, né con la Russia” oppure “né con Zelensky, né con Putin” non significa per noi (per altri non parliamo) addurre questioni di equidistanza tra popolazione aggredita ed esercito aggressore. Voler presentare la questione in questi termini è meschino e disonesto.

Una cosa abbiamo sempre riconosciuta, ed è la legittimità di difendersi quando si è in pericolo. È palese come sia la popolazione civile ad essere in pericolo, minacciati dalle truppe di Putin, spesso poveri cristi di leva anche loro, in molti casi arruolati con la forza e sbattuti al fronte. Che gli anarchici in Ucraina vogliano difendere case e strutture civili essenziali per la vita delle comunità, ad esempio gli ambulatori e le strutture mediche, non ci sembra osceno. Indubbiamente in un contesto di guerra reale le rigidità ideologiche formali cedono spesso il passo alla dura realtà, le cose non sono mai spiegabili con semplicità e le contraddizioni sono sempre presenti. Ma appunto, dato che ci sono vari gruppi che hanno scelto di agire con modalità differenti, troviamo più affinità con quelli che si stanno muovendo in formazioni autonome per aiutare i civili e supportare i disertori delle due parti.

Cerchiamo di evitare il tifo da stadio, parteggiando – spesso e volentieri da lontano – per una o per l’altra parte, e semplificando fino al midollo il ragionamento col rischio di scordare chi siamo e cosa vogliamo.

Chi si schiera con l’aggressore? Chi, se non gli stalinisti e i settori eurasiatisti del neofascismo, che accampano teorie geopolitiche da affiancare alla simpatia per il sistema di valori putiniani – omofobia, tradizionalismo, autoritarismo – considerato affine ai propri? Nessun altro.

Tutti, infatti, sono a parole “con gli aggrediti contro l’aggressore”. Ma questa bella frase, retorica al punto giusto, non sposta nulla. Primo perché gli aggrediti, in questo caso gli ucraini, sono una popolazione che, come tutte le altre popolazioni del mondo, risente al proprio interno di divisioni sociali dovute alle differenti classi di appartenenza. Detto in maniera semplice: non tutti subiscono la guerra alla stessa maniera: chi prima della guerra era povero, oggi è ancora più in difficoltà e tanto più il conflitto durerà maggiormente lo sarà. Se un missile cade su un palazzo residenziale abitato da povera gente oppure su un palazzo governativo facendo strage di ministri, per noi non è la stessa cosa. Per chi difende in maniera astratta “gli aggrediti”, povera gente e Stato ucraino si trasformano invece nella stessa cosa. In secondo luogo, se come risultato della non definizione del termine “aggrediti” si finisce col non operare le giuste distinzioni, pensando di difendere un omogeneo e indistinto “popolo ucraino”, consapevoli o meno si sta facendo il gioco dello Stato e dunque del nazionalismo che mira a rappresentare quel fantomatico “interesse collettivo” che come anarchici dovremmo ben sapere non può esistere.

L’interesse dello Stato ucraino è vincere la guerra; l’interesse della povera gente è raggiungere nel più breve tempo possibile la pace, che significa fine del pericolo immediato. Al di là dei tentativi fatti dai propagandisti della guerra, i due interessi non sono in vicendevole relazione, non lo sono affatto. Se vogliamo vedere le cose dalla giusta angolazione: lo Stato ucraino, come abbiamo già ribadito, vuole continuare il conflitto non solo per riguadagnare le regioni occupate dell’est, ma anche per riconquistare la Crimea che la Russia si è annessa con la forza nel 2014. E’ questa una buona ragione per cui degli anarchici, o della povera gente reclutata a forza per la strada, dovrebbe combattere, uccidere e morire? La sovranità ucraina sui territori perduti? Davvero?

Gli anarchici dovrebbero semmai, se non oggi domani, mettersi in relazione con le popolazioni che abitano in quelle regioni e sviluppare percorsi organizzativi comuni, a prescindere dai confini, dalla lingua e – sia detto per inciso – a prescindere anche dalla guerra in corso. Come si può pensare che gli obiettivi e gli interessi dello Stato ucraino siano gli stessi del proletariato ucraino? Così come i russi non sono lo Stato russo, gli ucraini non sono lo Stato ucraino. In che modo una guerra per la conquista dei confini perduti dovrebbe interessare agli anarchici? Ci viene risposto, ancora una volta, che non è la riconquista dei confini a spingere gli anarchici ad arruolarsi ma la volontà di sconfiggere gli “aggressori” attraverso l’unica opzione che sembra attuabile, quella della contrapposizione di un esercito ad un altro. Come se fosse poi tanto diverso. Come se lo Stato ucraino non fosse egli stesso stato appena ieri l’altro un aggressore della sua classe più povera. È vero, però gli aggressori venuti dall’esterno sono peggiori, rappresentano la quintessenza dell’aggressione e per questo bisogna sconfiggerli, annientarli, non lasciargli scampo. Non c’è niente da fare, la paura di cadere sotto il giogo di un regime infinitamente più brutale inaridisce i pensieri e ogni differente possibilità di azione. Prima vinciamo la guerra e poi facciamo la rivoluzione anarchica… siamo sicurx?

Le aporie, le defezioni, le omissioni ingenerate dalla guerra sono tante. Così si suole dimenticare, assieme alle quisquilie ideologiche gettate alle ortiche, che oltre ai volontari che corrono ad arruolarsi, da entrambe le parti le forze statali stanno arruolando a forza, strappandole dalle strade mentre camminano, persone da usare come carne da cannone contro la loro volontà. Ci si dimentica, o si fa finta di dimenticare, che per quanto riguarda l’esercito russo, non ci sono solo i mercenari sanguinari della Wagner. Putin ha gettato allo sbaraglio, in prima linea, persone comuni e non solo militari professionisti, persino ragazzini reclutati all’ultima ora, senza addestramento, appartenenti alle minoranze etniche più povere. Uccidere questi sventurati non ha nulla di eroico, bisogna invitarli alla diserzione, offrire loro un appiglio reale oltre alla detenzione in un carcere militare, costruire delle reti solidali che aiutino queste persone a fuggire dalle grinfie dell’esercito. Alcune reti di questo tipo per fortuna sembrano esserci, ma la russofobia e il nazionalismo perseguito dalle istituzioni ucraine, nell’accomunare tutti i russi al loro governo, impedisce ed ostacola che si possa giungere a un risultato soddisfacente. Non combattere questo atteggiamento è un altro evidente errore strategico, per chi vuole ampliare il fronte internazionalista. Si è data priorità alla guerra, alla partecipazione a fianco di queste stesse istituzioni, mettendo in secondo piano la solidarietà tra gli individui oltre le divise e i confini esistenti. Ma la guerra è un congegno assassino atto a creare nemici, non può portare ad una società più giusta e più libera, figurarsi se può prefigurare l’anarchia. Anche terminata la guerra, questa lascerà in eredità una società militarizzata, diffidente, cattiva. Una società che si ritroverà certamente ancora alla ricerca di nuovi nemici, dato lo spirito in cui si troverà. Stiano attenti gli anarchici, che tradendo i loro principi partecipano oggi alla guerra, perché potrebbero ritrovarsi domani in questo scomodo ruolo.

Come potrebbe risolversi il conflitto? Alcuni anarchici hanno motivato la propria scelta di sostenere le forze militari ucraine, con aiuti economici e sostegno militare, fino a combattere personalmente, dicendo che solo se l’esercito ucraino vincerà la guerra ci sarà la possibilità di rilanciare i diritti civili e sociali. Se a vincere sarà la Federazione Russa, al contrario, secondo molti commentatori, ci sarà la caduta nell’oscurantismo e conseguenze non solo per l’Ucraina ma anche per il resto dell’Europa, se non del mondo.

Noi la vediamo in modo un poco differente. Che il regime di Putin sia peggiore di quello di Zelensky sotto parecchi aspetti non lo mettiamo in dubbio, e di certo una vittoria russa vorrebbe dire il rafforzamento sia in Ucraina che in Russia del dispotismo putinano. Ma perché in ogni caso arruolarsi nell’esercito ucraino, appoggiando e rafforzando una delle due parti? Non riusciamo proprio a capire come gli anarchici fautori di questa posizione credono di ottenere giovamento appoggiando il proprio governo.

Facciamo delle ipotesi. Poniamo che a vincere la guerra sia l’esercito ucraino, a coronamento degli aiuti nel campo della tecnologia militare da parte dei governi occidentali. Poniamo anche che il governo ucraino riesca a riconquistare tutte le regioni e a ristabilire i confini esistenti a prima del 2014. Crediamo davvero che questo non porti con sé anche un rafforzamento del regime di Zelenskyy, in chiave nazionalista e patriottica? Chi potrebbe criticare, in tal caso, l’uomo della vittoria, il Davide contro Golia? Già oggi è così, del resto lo scrivono pure gli anarchici russi del gruppo “Avtonom.org”: “La cosa peggiore che Putin ha fatto per l’Ucraina è riconciliare il governo con la nazione. Il presidente si è trasformato dall’oggetto di critiche diffuse a un “de Gaulle” ucraino”19.

In più, lo abbiamo già detto, la vittoria ucraina si accompagnerebbe alle misure economiche antiproletarie fatte calare sul paese, che gli alleati occidentali decideranno e faranno approvare al governo in cambio dei loro disinteressati aiuti: ricostruzione, opere pubbliche, concessione di finanziamenti e acquisizioni societarie. Non bisogna dimenticare che il governo ucraino già oggi, profittando della guerra, ha emanato nuove norme antisindacali e una legge che limita i diritti dei lavoratori20. Cosa succederà vinta la guerra, agganciata l’Ucraina al carrozzone dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, quando gli alleati di ieri pretenderanno il varo di leggi sempre più liberiste, anche nel campo del lavoro? Succederà che avremo le classiche legislazioni lacrime e sangue come contropartita per gli aiuti ricevuti durante il conflitto e per la successiva opera di ricostruzione. Credono allora gli anarchici interventisti di oggi, che se domani si ribellassero, e protestassero contro queste misure, il governo li tratterebbe con i guanti di velluto come atto di riconoscenza per il servizio prestato alla nazione sotto le armi? È più probabile che il governo ucraino si servirà del battaglione Azov contro il nuovo nemico, non più esterno, ma stavolta interno: quegli stessi anarchici che, una volta dismessa la divisa mimetica e svolto il loro compito a difesa dello Stato, saranno solo un impiccio di cui sbarazzarsi.

Poniamo invece che la vittoria ucraina risulti “mutilata”. Poniamo cioè che, assieme alla povertà dilagante, alle distruzioni del dopoguerra, ai disservizi nel settore pubblico e alle misure lacrime e sangue, come è molto probabile l’esercito ucraino non sia riuscito a riguadagnare alcune regioni, per esempio il Donbass o la Crimea. Si concretizzerebbe allora, come già fu nel caso dell’Italia uscita vittoriosa dalla prima guerra mondiale ma frustrata dagli alleati nel suo desiderio di vedersi riconoscere la sovranità di Fiume e della Dalmazia, il forte risentimento dei nazionalisti. La sensazione di aver combattuto ed essere morti invano, perdendo la sovranità di alcuni territori, abbinata alla crescita dell’insoddisfazione sociale, provocherà immancabilmente ondate di proteste, che andrebbero però a rafforzare l’estrema destra. Gli anarchici militaristi, che fino al termine della guerra saranno andati a ruota del governo, accettando senza fiatare disciplina e rigore, senza provare a costruire una forza in grado di rivaleggiare con i fascisti e mettersi alla testa delle proteste future, che ruolo e che credibilità potranno avere di fronte alle ondate di rabbia e malcontento fomentate dai fascisti contro l’autorità di Zelenskyy?

No, gli anarchici avrebbero dovuto mettersi alla testa fin da subito di un movimento coordinato di brigate popolari che alla prima richiesta del governo di armarsi, quando il 24 febbraio 2022 Putin ha invaso l’Ucraina, avrebbe dovuto porre come condizione l’assoluta autonomia dall’esercito ufficiale. Un movimento armato che non rinunciasse, col pretesto della disciplina di guerra, alla critica allo Stato e alle proprie prerogative rivoluzionarie. Richiedere le armi, pretendere le armi, ma per difendere lo sviluppo di una progettualità propria, non per difendere lo Stato, non per ristabilire i suoi confini. Impossibile? Forse, ma perlomeno delle milizie davvero popolari, davvero autonome dallo Stato, dove l’elemento anarchico fosse ben riconoscibile, avrebbero facilmente guadagnato la simpatia e l’appoggio del movimento anarchico internazionale, che avrebbe allora sì inviato soldi, armi e militanti che sarebbero accorsi sul luogo. Se tutto questo è mancato o è avvenuto solo in parte e confusamente, è solo per la indistinguibilità tra gli obiettivi dello Stato ucraino e quelli degli anarchici che si sono posti a sua difesa. Quale strategia di medio o lungo termine propongono infatti gli anarchici interventisti, se non l’attuale arruolamento nelle fila dell’esercito per respingere gli invasori? Perché questa strategia dovrebbe essere attrattiva per gli anarchici di altre parti di mondo? In caso di vittoria ucraina, perché mai dovrebbero essere gli anarchici a beneficiarne, e non il governo di Zelenskyy che ha condotto e diretto in prima istanza la campagna militare, sotto lo sguardo attento degli alleati, oppure non invece i fascisti nel caso si verificasse quanto abbiamo sopra ipotizzato? A queste domande, a questi dubbi, non troviamo nessuna replica convincente fornita da coloro che sostengono che con la vittoria ucraina si aprirebbe una nuova età dell’oro.

Un’altra giustificazione posta da chi sostiene la parte ucraina, giustificazione secondo noi insufficiente, è quella di presentare la guerra in corso come un conflitto tra fascismo e democrazia, in sostanza una riedizione di quanto fu detto della seconda guerra mondiale. Secondo noi, invece, non si può semplicemente tirare in ballo la teoria di un nuovo Hitler – ovvero Putin – per ritenere la guerra intrapresa contro il nuovo “male assoluto” una guerra “giusta”. Queste sono, come al solito, semplificazioni, che non ci dicono nulla dei reali interessi dietro lo scatenarsi di un conflitto, che concernono sì anche motivazioni ideologiche (quelle ci sono sempre) ma riguardano ben più materialmente questioni economiche e geopolitiche. Basti pensare che anche i sostenitori di Putin presentano la guerra nei termini buoni-cattivi, a parti chiaramente invertite, e gli stessi alti papaveri russi sostengono che quello di Kiev è un governo “nazista”.

È vero invece che questo conflitto armato rassomiglia più alla prima guerra mondiale piuttosto che alla seconda. Nel primo conflitto bellico mondiale, che fu certamente anche un conflitto inter-imperialistico per la spartizione delle colonie, la quasi totalità della sinistra europea – con poche eccezioni, e qui ricordiamo i socialisti italiani – sostenne le ragioni degli alleati contro gli imperi centrali. Gli uni venivano descritti come portatori di democrazia (stiamo parlando di Francia ed Inghilterra, i maggiori paesi colonialisti di allora, alleati alla Russia zarista), mentre gli altri barbari e bestiali (la Germania, l’austria-ungaria e l’impero ottomano). Non c’era ancora il nazismo, sennò li avrebbero chiamati nazisti. La vittoria delle “democrazie” e la sconfitta del cattivo di turno – la macchina militarista rappresentata dall’impero tedesco – non ristabilì però la pace ma una pacificazione forzata che, di fatto, umiliando la nazione vinta, la Germania, con debiti di guerra e gravi perdite di territori, diede il là alla crescita esponenziale del risentimento nazionalista e del movimento hitleriano che porterà poi alla scoppio della seconda guerra mondiale, il che ci dice che la storia può riservare delle bruttissime sorprese alle nazioni vinte21.

Quanto ricordato dovrebbe smussare i facili ottimismi pure di chi spera che la sconfitta nella guerra ucraina della Russia possa determinare lo scoppio di una rivoluzione in questo paese, come quella verificatasi nel 1905 dopo la sconfitta dell’esercito zarista a seguito della guerra russo-giapponese.
Se non ci sono oggi i segnali di un moto rivoluzionario all’interno della Federazione Russa, tale da imporre il cessate il fuoco e il ritiro dalla guerra, è difficile che una rivoluzione si verifichi dall’oggi al domani in caso di sconfitta. Ovviamente, speriamo di sbagliarci, vorremmo tanto vedere Putin a testa in giù. Ma in caso di sconfitta della Russia è ipotizzabile un colpo di Stato degli oligarchi piuttosto che una rivoluzione sociale.

In una guerra c’è sempre un regime peggiore o migliore di un altro, fosse anche un pochettino peggiore o un tantino migliore. Quindi? Anche noi diciamo con Errico Malatesta: “Non v’è dubbio che la peggiore delle democrazie è sempre preferibile, non fosse che dal punto di vista educativo, alla migliore delle dittature. Certo la democrazia, il cosiddetto governo di popolo, è una menzogna, ma la menzogna lega sempre un po’ il mentitore e ne limita l’arbitrio; certo il «popolo sovrano» è un sovrano da commedia, uno schiavo con corona e scettro di cartapesta, ma credersi libero anche senza esserlo val sempre meglio che sapersi schiavo e accettare la schiavitù come cosa giusta e inevitabile. La democrazia è menzogna, è oppressione, è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi a benefizio di una classe privilegiata; ma possiamo combatterla noi in nome della libertà e dell’uguaglianza, e non già coloro che vi han sostituito o vogliono sostituirvi qualche cosa di peggio”. Oggi però non si tratta di fare il conto delle malefatte di Putin, a cui auguriamo una prossima morte dolorosa, o di scegliere tra due mali quello minore. Si tratta di capire se gli anarchici che sostengono lo sforzo bellico dell’Ucraina stiano agendo in conformità con gli ideali anarchici o se stiano invece prendendo un abbaglio. Non parliamo, ovviamente, del lavoro encomiabile di chi si prodiga a portare aiuti e soccorsi, ma come abbiamo ampiamente dibattuto, della scelta di coloro che hanno deciso di entrare nelle forze di difesa territoriale e nell’esercito ucraino e di sostenere peraltro politicamente tale scelta.
Anche perché dovremmo ricordare che la frase di Malatesta, che non viene quasi mai riportata per intero, continua così: “
Noi non siamo democratici, fra le altre ragioni perché essa presto o tardi conduce alla guerra e alla dittatura, come non siamo dittatoriali, fra l’altro, perché la dittatura fa desiderare la democrazia, ne provoca il ritorno e così tende a perpetuare quest’oscillare delle società umane dalla franca e brutale tirannia a una pretesa libertà falsa e bugiarda. Dunque guerra alla dittatura e guerra alla democrazia”22.

Venendo ad un’altra cosuccia che ci fa veramente arrabbiare, ci è parso davvero terribile leggere la petizione che alcuni “interventisti” di sinistra hanno fatto all’Unione Europea, scegliendo di indirizzare la richiesta di riconoscere lo status di rifugiati politici per i disertori dell’esercito russo e non per quelli che disertano dall’arruolamento del governo ucraino. Non possiamo accettarlo. La battaglia deve essere combattuta per tutti, disertori russi ed ucraini. Chiedere lo status di rifugiati solo per gli uni e negarlo agli altri, suona come l’ennesima propaganda di parte. Negare poi l’esistenza degli stessi disertori ucraini, per avvalorare il mito dell’eroica resistenza di popolo, come hanno fatto, con cenni provocatori, certuni promulgatori di un dubbio anarchismo ormai avviato verso altri lidi – arrivati a scrivere addirittura che le frontiere ucraine non sono mai state chiuse e chiunque è libero di andarsene dal paese, mettendo in atto una vera e propria mistificazione della realtà e dimenticando arruolamenti forzarti e legge marziale ci fa persino ridere per tanta sfacciataggine. Si tende a voler suggerire che tutti gli ucraini sono per la continuazione della guerra ad oltranza, fino alla sconfitta di Putin, e che non ci sono disertori. Si tende ad usare questa indecente propaganda patriottica anche tra le fila anarchiche23. Ma anche ammettendo, per assurdo, che la maggioranza della popolazione ucraina volesse arruolarsi e continuare la guerra, per quale motivo gli anarchici non dovrebbero ciononostante sostenere i disertori ucraini? Anche gli anarchici ora si conformano alla dittatura del numero, al regime della maggioranza?

Ora una provocazione. Perché gli anarchici militaristi, coloro che si spendono per l’appoggio e l’invio di soldi per l’acquisto di armi ai resistenti ucraini, non hanno mostrato la stessa caparbia solidarietà anche nei confronti degli afghani attaccati a suo tempo dagli Stati Uniti? Perché non hanno inviato soldi per armarsi anche a loro? Perché la resistenza dell’esercito ucraino dovrebbe essere diversa dalla resistenza delle milizie afghane? Francamente non riusciamo a capirlo. Nella resistenza ucraina c’è un fattore di diversità, rispetto ai casi citati, che non riusciamo a cogliere. È forse perché là vi erano talebani e islamisti brutti e cattivi? Eppure i nazisti ucraini li dimentichiamo in fretta. La colpa è forse nostra, che non riusciamo a intravedere i miraggi di liberazione promessi da quella che viene sbandierata come “resistenza ucraina”. Se si tratta solo di resistenza di aggrediti agli aggressori, anche le milizie afghane erano nel giusto.

E allora? Allora occorre che ci siano altre motivazioni che non la sola tiritera dello stare con gli aggrediti contro gli aggressori! Se un gruppo di antifa sfonda a mazzate una banda di neonazisti, dopo esserli andati a stanare dalle fogne, dovremmo forse stare con questi ultimi perché aggrediti? È chiaro che abbiamo bisogno di analisi ben più forti, che non possono prescindere da quali sono i motivi di uno scontro, gli attori dello stesso, le loro pratiche reali e i loro fini ultimi. Dato che c’è sempre qualcuno che incomincia per primo, non è molto intelligente basarsi solo su questo aspetto per decidere da che parte stare. Ci sono situazioni in cui la ragione sta dalla parte di chi attacca, come nel caso appunto in cui si si debbano attaccare dei fascisti. Ci sono casi in cui invece ad aver torto, o comunque a non aver ragione, sono entrambe le parti. Ci sono poi scontri che trascendono la ragione, perché coinvolgono gli Stati, e dato che è nella natura di questi scontrarsi con altri Stati per diversi motivi – predominio territoriale, ricerca di nuovi mercati, questioni economiche, giacimenti di petrolio, compravendita di armi, etc – non abbiamo ragione di credere che sia un fatto incidentale lo scoppio di una nuova guerra, quanto l’inevitabile risultato della dinamica delle relazioni fra Stati. Quindi, checché ne dicano gli amici militaristi-anarchici, affermare di essere né con il governo russo né con il governo ucraino, né con il blocco dei paesi alleati di Mosca né con la Nato, non è un modo furbesco ed ideologico per mettersi a posto la coscienza, ma l’unica opzione possibile per degli individui che si professano rivoluzionari ed anarchici. Perché possiamo concordare sul fatto che Putin, allo stato attuale, rappresenti una minaccia reale ben oltre il solo contesto territoriale su cui imperversa il conflitto, ma siamo anche consapevoli che rafforzare lo Stato ucraino e la Nato non è una buona idea né un buon affare per il futuro.

L’invasione russa ha dato impulso alla spinta militarista delle nazioni, ha riacceso la corsa al riarmo e gli investimenti nel settore bellico, ha dato nuova linfa alla Nato dopo anni di stasi, quando i vari paesi si chiedevano se avesse ancora senso un apparato di difesa atlantica legato al passato. Oggi alcuni paesi stanno addirittura pensando di reintrodurre l’obbligatorietà della leva militare.

Oltre alla produzione in proprio di armi, i paesi stanno puntando su una massiccia importazione dall’estero24. È quanto emerge dall’ultimo rapporto sui trasferimenti globali di armi dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri): gli stati europei hanno aumentato le loro importazioni di armi principali del 47% nel quinquennio tra il 2018 e il 2022. Gli stati europei che sono anche membri della Nato hanno registrato un aumento ancora maggiore, aumentando le loro importazioni di armamenti del 65% nello stesso periodo.

Gli Stati Uniti e la Russia sono stati il primo e il secondo maggior esportatore di armi al mondo negli ultimi trent’anni (Francia, Cina e Germania vengono subito dopo). Ma se la quota degli Usa nelle esportazioni globali di armi è aumentata dal 33 al 40% (rappresentano cioè il 40% delle transazioni globali di armi), quella della Russia è scesa dal 22 al 16%. Non stranamente, dopo l’invasione russa, l’Ucraina emerge invece come il terzo importatore di armi al mondo, dopo il Qatar e l’India25, cosa che di fatto ha quasi raddoppiato le importazioni di armi in Europa nel 2022. L’invasione russa in Ucraina “ha provocato un’impennata significativa della richiesta di armi in Europa, che non ha ancora mostrato la sua piena potenza e che condurrà verosimilmente a nuovi importanti aumenti”, ha detto Pieter Wezeman, coautore del rapporto Sipri. Ucraina a parte, la crescita delle importazioni europee ha comunque raggiunto il +35% nel 2022, secondo i dati del Sipri.

I paesi stanno puntando, ognuno a suo modo, a riarmare i propri eserciti. Occorre dire che la corso al riarmo data da prima dell’inizio della guerra in Ucraina. L’indicazione di spesa di almeno il 2 per cento del Pil in ambito Nato deriva, per esempio, da un accordo del 2006 dei ministri della Difesa dei paesi membri dell’Alleanza, poi confermato e rilanciato al vertice dei capi di Stato e di governo del 2014 in Galles, obiettivo da raggiungere entro il 2024.

La Federazione Russa, dal canto suo, ha aumentato il numero di navi da guerra schierate nel Mar Nero, nel Mar d’Azov e nel Mediterraneo. Aggiungiamo che la Russia è dotata di circa 6mila testate nucleari, di cui 1.588 sono quelle già schierate e operative, secondo un report pubblicato a febbraio 2022 su “Iriad Review. Studi sulla pace e sui conflitti”26.

Prima o poi questi arsenali, questi strumenti di morte oliati negli anni troveranno un loro utilizzo. Ci sono nazioni che sono arrivate già alla consegna di aerei da combattimento all’Ucraina. Per ora si parla di Slovacchia e Polonia, la quale ha acquistato i Mig-29 di fabbricazione sovietica dalla Germania per poi cederli al governo di Zelenskyy.
Il loro ruolo è sempre più decisivo. La loro partecipazione alla guerra sempre più marcata.
L’entrata in guerra di altri paesi è cosa sempre più probabile.

Mentre scriteriati e privi di cervello vorrebbero la partecipazione diretta della Nato al conflitto, chiediamoci: dove ci porterà la corsa agli armamenti degli Stati? La terza guerra mondiale si sta preparando. Magari non sarà la guerra in Ucraina l’episodio scatenante, magari sarà la prossima guerra tra Cina e Usa per il dominio su Taiwan.
In attesa dell’inevitabile, gli arsenali – anche quelli nucleari – si ammassano.
Gli anarchici “interventisti” ne hanno consapevolezza?

Parlare di aggrediti ed aggressori è sempre facile. Chi è il colpevole? Noi la pensiamo come Ascanio Celestini, che in un suo articolo ha scritto: “È la NATO che sta allargando i propri confini? È Putin che ha scommesso sulla propria forza e ha tirato la corda puntando sulla debolezza americana e sulle divisioni dell’Europa? Io penso che la colpa è di chi fa politica con le armi”27.

La spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari all’anno. E se guardiamo al nostro paese ci accorgiamo, come abbiamo già detto, che il bilancio del ministero della difesa per il 2022 sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi. Il precedente governo di Mario Draghi e del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo (ben 18). L’attuale governo di Giorgia Meloni sta operando nello stesso solco, per esempio autorizzando di nuovo l’invio di armi all’Ucraina e assicurando di arrivare in breve tempo al 2% del PIL da investire nel settore della Difesa, nell’ambito della Nato. Si passerebbe così a circa 38 miliardi di euro all’anno di spesa. Negli ultimi quattro anni, inoltre, l’Italia ha speso 2,4 miliardi di euro nelle missioni militari collegate a piattaforme estrattive, oleodotti e gasdotti che riguardano l’ENI. Come si può pensare che queste politiche di riarmo, attuate come l’Italia anche dagli altri paesi, indipendentemente dalle alleanze di cui fanno parte, non sortiscano l’effetto della recrudescenza dei rapporti internazionali tra i diversi blocchi?

Non è certo perfezionando continuamente gli armamenti e concentrando le menti e le volontà di tutti sull’organizzazione meticolosa dell’apparato militare che si opera per la pace (…) Perciò, è del tutto idiota e puerile, dopo aver moltiplicato le cause e le occasioni di conflitto, cercare di attribuirne la responsabilità a questo o a quel governo. Nessuna distinzione possibile può essere fatta tra guerre offensive e guerre difensive (…) La verità è che la causa delle guerre, di quella che attualmente insanguina le pianure d’Europa, come di tutte le guerre precedenti, poggia unicamente sull’esistenza dello Stato, che è la forma politica del privilegio. Lo Stato è nato dalla forza militare, si è sviluppato attraverso l’utilizzo della forza militare ed è ancora su tale forza che deve logicamente poggiare per mantenere il suo potere di dominio. Qualunque forma esso assuma, lo Stato non è altro che l’oppressione organizzata a vantaggio di una minoranza privilegiata (…) L’azione e la diffusione della concezione anarchica dovrebbero tendere, con assiduità e perseveranza, a indebolire e infine dissolvere i vari Stati, a coltivare lo spirito di ribellione, e a suscitare lo scontento nei popoli e negli eserciti. A tutti i soldati di tutti i paesi che credono di stare combattendo per la giustizia e per la libertà, noi dobbiamo dire che il loro eroismo e il loro valore non servono ad altro che a perpetuare gli odi, il dispotismo e la miseria” [Internazionale Anarchica, Manifesto contro la guerra del 1915]28.

Oggi si ritorna a parlare, cosa estremamente inquietante, di minaccia nucleare, di bomba atomica… Siamo ripiombati nella paura del disastro imminente, dell’annichilimento totale. Il blocco della Nato e il blocco dei paesi alleati a Russia e Cina si sono prodotti in questi anni, ben prima dell’invasione russa, in una serie impressionante di war games ed esercitazioni, anche nucleari. Ed intanto le persone di diversi stati europei – compresa l’italia – vanno nelle farmacie per fare scorte di pastiglie al litio contro l’incubo di esplosione nucleare. E l’Italia, serve forse ricordarlo, è uno degli Stati in Europa a non avere nessun piano antinucleare.

Di fronte a tutto ciò, inquieta che la soluzione proposta da alcuni raggruppamenti di sinistra nell’est Europa, e perfino da alcuni anarchici favorevoli all’union sacrée con il governo ucraino, sia il rafforzamento della NATO o, in alternativa, la costituzione di un forte esercito europeo, quel “sistema di sicurezza comunitario” che chiedono a gran voce i partiti di destra dell’Europa occidentale29. Possibile che sia questa la soluzione per realizzare un mondo pacifico? Tanto varrebbe ammettere la sostanziale inutilità dell’internazionalismo proletario, della stessa ipotesi rivoluzionaria e dell’opzione anarchica.

A sollevare questi problemi, l’accusa è di essere inconcludenti, pacifisti astratti che non portano nessuna proposta. Non è così. Rimaniamo sulla nostra posizione internazionalista del disfattismo rivoluzionario: appoggio ai disertori in ogni forma e in ogni modo, contrarietà all’alleanza patriottica tra governo e movimento anarchico, uso del sabotaggio all’industria bellica come forma di contrasto alla guerra, lotta a tutti gli imperialismi.

Da parte nostra, non ci piacciono le foto di anarchici con indosso la divisa dell’esercito e le mostrine con simboli e bandiere nazionali. Non ci piacciono e non ci piaceranno mai. Se dobbiamo scegliere una parte, scegliamo di stare con chi presta aiuto ai civili e non allo Stato, con i disertori di ambedue gli schieramenti, con chi combatte la guerra dovunque si trova a vivere, con i lavoratori dei porti della Grecia e di Genova, che si sono rifiutati di caricare le navi piene di armi in partenza per l’Ucraina, con gli antimilitaristi di Taranto che hanno preso a sassate una nave della Marina militare30, con chi, in tutto il mondo, ha manifestato contro il conflitto e per questo è stato denunciato, arrestato, gettato in prigione, con i compagni russi e bielorussi che sabotano le linee ferroviarie per il trasporto dell’esercito e delle armi, con chi brucia i centri di reclutamento, con chi invece che sparare al “nemico” spara sul proprio comandante. Per quanto riguarda l’Ucraina, sarebbe bene che alla fine di questa guerra – e speriamo finisca presto – gli anarchici che si sono arruolati nelle unità di difesa territoriale non restituiscano le armi in nome della ricostruzione nazionale, ma le tengano bene oliate e pronte all’uso. La costruzione di un forte movimento anarchico è l’unico argine contro le politiche liberiste del governo Zelenskyy e le incursioni delle milizie neofasciste. Ma riuscirà a sorgere un movimento forte, laddove si è trovato polverizzato nelle diatribe sulle diverse modalità di intervento durante la guerra? Ai posteri la sentenza.

PFV – Marzo-aprile 2023

 

Ai link sottostanti potete leggere i nostri due primi articoli, già pubblicati, sulla guerra in Ucraina:

https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/post/2022/12/28/guerra-in-ucraina-il-dibattito-in-campo-anarchico/

https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org/post/2023/01/13/brevi-considerazioni-a-proposito-di-alcune-critiche-allarticolo-guerra-in-ucraina-il-dibattito-in-campo-anarchico/

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NOTE

3 Per la Federazione Russa il controllo di Donestsk è molto importante, perché possiede lo sbocco sul mare di Azov.

4 Un paio di notizie, per ampliare la conoscenza sulle cose nel Donbass. Alexey Mozgovoj, ex comandante della Battaglione Prizsrak (fantasma) del Donbass e fautore della trasformazione della regione nella “Nuova Russia” affiliata alla Federazione Russia, morto ormai da qualche anno (ucciso in una imboscata nel 2015 sembra dagli stessi separatisti in una lotta di potere), in Italia è celebrato come eroe “comunista” da alcuni settori dell’area neo-stalinista. Questo perché Mozgovoj si dichiarava “antinazista”. Qui però bisogna fare un distinguo, perché nel mondo russo alcuni settori che si dicono genericamente antifascisti o antinazisti lo fanno semplicemente per onorare la vittoria militare dell’Urss stalinista nella seconda guerra mondiale, la “grande guerra patriottica” celebrata in Russia il 9 maggio di ogni anno come festa nazionale. La locuzione “grande guerra patriottica” è utilizzata in Russia e in alcuni altri stati dell’ex Unione Sovietica e ricorda l’espressione già in uso per ricordare la guerra combattuta dall’Impero russo zarista contro Napoleone Bonaparte nel 1812. Dunque definirsi antinazisti o antifascisti da quelle parti significa spesso (non sempre) semplicemente dichiararsi patrioti e nazionalisti russi e celebrare la forza della potenza russa. Non ha il valore che ha in Italia, con gli inevitabili richiami alla guerra civile combattuta dalla resistenza partigiana e anche prima, già durante gli anni della presa del potere da parte di Mussolini. Spesso poi alcuni di questi “antifascisti” sono anche nostalgici dello stalinismo, dello zarismo e dell’imperialismo. Tornando a Mozgovoj, per esempio, celebre è una sua foto che lo ritrae in posa con il razzista e nazionalista russo Vladimir Zhirinovskiy, fascista morto anche lui e a cui – tanto per dire il livello – è stata intitolata una via nella cosiddetta Repubblica Popolare di Donetsk nel Donbass. Aveva suscitato interesse anche la frase sulle donne “al pub da sole” di Mozgovoj che dimostra come i suoi ideali in fatto di emancipazione delle donne non fossero stati certo progressisti. Ecco la frase, estrapolata da un’intervista al giornale “Novaja Gazeta”, in cui tra l’altro minacciava di arrestare tutte le donne che frequentavano un’osteria o un bar: Tutte queste giovani donne, che dovrebbero fare nascere i bambini di cui abbiamo bisogno per evitare una crisi demografica, cuocere al forno pirozhki e fare punto croce, invece di occuparsi di questo non fanno altro che distruggere il proprio organismo. D’altronde, perché mai ai vecchi tempi alle donne era proibito sedersi al tavolo? Perché una donna era innanzitutto una madre. Ma che madre potrebbe mai essere se rovina il suo organismo con l’alcool, e ai tempi d’oggi addirittura con le droghe?” [Zinaida Burskaja, “Sami sebegosudarstvo”, Novaja Gazeta, 17 novembre 2014]. Questi sono i “partigiani” che in Donbass avrebbero dovuto essere quelli più vicini alle concezionidi sinistra”…. possiamo immaginarci come siano gli altri, i i fascisti eurasiatisti o quelli che stanno combattendo per gli interessi degli oligarchi filo-russi.

6 Marco Rizzo, nel 1999, era allora dirigente di spicco del Partito dei Comunisti Italiani, una scissione di destra di Rifondazione Comunista. Il suo partito sostenne il governo D’Alema nel bombardamento della Serbia in ambito Nato, cui parteciparono direttamente anche i caccia italiani

7 Uno che riassume in sé entrambe le definizioni è il professor Paolo Borgognone. Ma è il network dell’estrema destra “identitaria” o esplicitamente neofascista ad aver avuto un ruolo decisivo nell’organizzazione territoriale di Italia Sovrana e Popolare, in cui una figura nota che si era candidata per il Senato è stata il noto giornalista Fulvio Grimaldi. Fabio De Maio, capo del circolo Terra dei Padri di Modena, ha sostenuto con entusiasmo il progetto di Rizzo. Nel bar situato sopra Terra dei Padri sono stati allestiti banchetti per la raccolta di firme del partito. In Friuli Venezia-Giulia il coordinatore regionale di Italia Sovrana e Popolare era Angelo Lippi, per trent’anni militante di estrema destra: dal Fronte della gioventù, alla Lega delle Leghe di Stefano Delle Chiaie fino a un’associazione che faceva l’apologia della X Mas

16 Ivan Ilyin, teorico del fascismo russo, fu un anticomunista e antisemita ammiratore di Hitler, espulso dall’URSS nel 1922, si rifugiò in Germania e Svizzera. Apertamente apprezzato da Putin, che ha fatto riesumare la sua salma sepolta in Svizzera per seppellirla in Russia, il presidente russo ha reso pubblicamente omaggio nel 2009 alla sua tomba e le sue opere sono state spesso ristampate durante la sua presidenza

17 Consigliere di Putin, “filosofo” ammiratore dichiarato di Mussolini e del nazista belga Jean Thiriart (il teorico della “Nazione europea” da Dublino a Vladivostok), Alexandr Dugin è l’ideologo del neo-eurasiatismo, ovvero una concezione che mira a restaurare l’imperialismo della “grande russia”. È in contatto con vari gruppi della destra estrema europea, mentre in Italia, dove spesso si reca per conferenze di area, è in ottimi rapporti con gruppi rossobruni, settori della Lega di Salvini e i neofascisti di Casapound. In Italia i suoi libri sono stati pubblicati da case editrici neofasciste. Nella sua versione classica l’eurasiatismo si sviluppò tra l’emigrazione “bianca” negli anni venti.

18 Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca hanno aderito volontariamente all’Alleanza Atlantica nel 1999. Nel 2004 sono stati integrati nella Nato altri sei Stati precedentemente controllati dalla Russia (insieme a un settimo appartenente all’ex Jugoslavia) tra cui tre ex repubbliche sovietiche, ovvero i tre stati baltici Lettonia, Lituania ed Estonia. Da registrare la decisione di Svezia e Finlandia, dopo l’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, di fare domanda per entrare nella Nato. La mossa di Putin, insomma, ha finito per avere come risultato il compattare ed allargare l’Alleanza atlantica.

20Parliamo dell’adozione della legge ucraina “Sull’organizzazione dei rapporti di lavoro nella legge marziale” del 15.03.2022 № 2136-IX, concepita per proteggere gli interessi dei datori di lavoro. La legge prevede: stipula semplificata di contratti di lavoro a tempo determinato e di contratti di lavoro in prova; il trasferimento dei dipendenti senza il loro consenso ad un altro posto di lavoro; il licenziamento durante i congedi per malattia, i permessi retribuiti e non retribuiti, senza il consenso dei sindacati; la possibilità di cambiare condizioni di lavoro significative senza preavviso; l’aumento della durata massima della settimana lavorativa a 60 ore, nonché l’abolizione dei limiti del lavoro straordinario e l’abolizione dei giorni festivi; abolizione del divieto di coinvolgere le donne incinte nei turni di notte e le madri con bambini piccoli nei turni di notte e negli straordinari; esonero del datore di lavoro dalla responsabilità per i ritardi di pagamento; sospensione di alcune disposizioni del contratto collettivo da parte del datore di lavoro in modo unilaterale; riduzione della durata del congedo annuale di base retribuito a 24 giorni di calendario; diritto del datore di lavoro di negare il congedo al dipendente se questi è impiegato presso strutture infrastrutturali critiche; sospensione del contratto di lavoro. Vedi l’articolo https://commons.com.ua/en/sho-ne-tak-iz-regulyuvannyam-praci-pid-chas-voyennogo-stanu/

21 Al termine della prima guerra mondiale, la repentina fine della Repubblica di Weimar, dopo lo schiacciamento della sollevazione spartachista e dell’effimera repubblica bavarese dei consigli, diede vita alla successiva ascesa e parabola della Germania hitleriana. La rivolta spartachista cominciò con uno sciopero generale, sfociato poi in scontri armati, messo in atto dalla Lega spartachista a Berlino, tra il 5 e il 12 gennaio 1919 contro il neo costituito governo della Repubblica di Weimer guidato dal Partito Socialdemocratico (SPD) di Friedrich Ebert. Si verificò in connessione con la Rivoluzione di novembre, scoppiata in seguito alla sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale e al crollo dell’Impero tedesco. L’8 gennaio, Ebert ordinò a 3000 soldati dei Freikorps (organizzazioni paramilitari di destra) di attaccare gli spartachisti. Questi ex soldati avevano ancora armi ed equipaggiamento militare della prima guerra mondiale, il che diede loro un formidabile vantaggio. Tra 156 e 196 ribelli e 17 miliziani delle Freikorps morirono durante i combattimenti. Nei giorni successivi, i capi della rivolta spartachista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, vennero prelevati ed uccisi. Nel maggio 1919, a Monaco di Baviera l’esercito governativo contro-rivoluzionario, inviato dal social-democratico Gustav Noske, esponente del SPD e ministro della difesa della Repubblica di Weimar, schiacciò nel sangue anche la “Repubblica dei Consigli di Baviera”, durata pochi mesi tra il 1918 e il 1919, grazie all’aiuto decisivo dei gruppi paramilitari nazionalisti. Il 3 maggio 1919, 30.000 uomini, appartenenti ai Freikorps marciarono da Garmish a Monaco, compiendo un bagno di sangue. Dopo aspri combattimenti, i Freikorps ebbero ragione delle forze nemiche: circa 800 uomini e donne furono arrestati e massacrati. Nei gruppi paramilitari che aiutarono il governo socialdemocratico a schiacciare le rivolte, rivolte a cui parteciparono comunisti, anarchici e sindacalisti, militavano molti futuri nazisti.

22 Errico Malatesta, Pensiero e Volontà, anno I, n° 6, Roma 15 marzo 1924

23 L’Iniziativa antimilitarista Olga Taratuta (https://nowar.solidarite.online/) che si occupa di organizzare iniziative di solidarietà con rifugiati, disertori, pacifisti in Ucraina, Russia e Bielorussia, riferisce che “Almeno 200.000 persone stanno fuggendo dalla Russia per sottrarsi alla mobilitazione militare di Putin, e altre decine di migliaia stanno evitando la mobilitazione in Ucraina. Eppure alcune voci sostengono che “il numero dei disertori è così trascurabile che non se ne dovrebbe neanche parlare”. Questi cinici tentativi di “rendere invisibili” le persone che scelgono di non prestare servizio nell’esercito, di disertare o di emigrare in altri paesi per motivi politici, devono essere contrastati. La loro voce deve essere ascoltata e devono poter ricevere un aiuto concreto. Fonte: https://antimilitarismus.noblogs.org/post/2022/09/12/appeal-days-of-international-solidarity-with-deserters

25 Chi esporta più armi in Ucraina sono gli Stati Uniti. Va rilevato però che, sebbene il livello delle esportazioni di armi statunitensi in Ucraina abbia registrato un forte aumento, secondo il Sipri nel 2022 era ancora al di sotto dei livelli di esportazioni inviate da Washington ad altri quattro paesi: Kuwait, Arabia Saudita, Qatar e Giappone. Questo perché le forniture statunitensi all’Ucraina riguardavano attrezzature militari relativamente meno avanzate, mentre gli altri quattro stati hanno ricevuto nuove armi avanzate, come aerei da combattimento e sistemi di difesa aerea. Questo riflette in maniera chiara la volontà di Washington e alleati europei di prolungare il conflitto con l’invio di armamenti principalmente di seconda mano.

26 Nove nazioni soltanto in tutto il mondo possiedono oltre 15.000 testate nucleari nei loro arsenali. Si tratta di Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Russia, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord. Ma Russia e Stati Uniti assieme, contano da soli il 93% del totale.

29 Vedi, per esempio, l’atteggiamento degli esponenti del partito politico polacco di sinistra Razem: https://unaepidemiadivita.wordpress.com/2022/05/14/cara-sinistra-occidentale-non-ti-viene-chiesto-di-amare-la-nato/