LA GUERRA NON È UNA PARTITA A PALLONE

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Viviamo strani momenti. Mentre i conflitti esplodono o si riacutizzano in diverse parti del mondo, per i soliti interessi economici e di potere, e gli Stati si riarmano per le prossime guerre, c’è chi fa il tifo da casa, come se si trattasse di una partita di calcio da guardare su uno schermo.

Mentre sul fronte interno i governi si preparano alla carneficina sociale che scaturirà dall’economia di guerra e realizzano già oggi, di conseguenza, una serie sterminata di decreti e leggi contro i movimenti, per coprirsi le spalle dalle future proteste, e manganellano chi scende in strada per chiedere il cessate il fuoco (come avvenuto in diversi cortei contro il genocidio in corso a Gaza), c’è chi pensa che sia furbo organizzare iniziative che appoggiano l’uno o l’altro dei giocatori statali sul campo bellico globale. Senza capire che stavolta il campionato non lo vince nessuno, tanto meno i tifosi.

In questi ultimi anni, in questi ultimissimi mesi, abbiamo visto crescere movimenti politici, anche “a sinistra”, che non hanno mai nascosto la loro simpatia per lo Stato ucraino o, al contrario, per quello russo, oppure che si sono serviti di un malcompreso pensiero decoloniale per sostenere la tesi improbabile che non si debbano mai criticare le resistenze alle aggressioni militari, di per sé assassine, anche quando si fanno assassine a loro volta contro i “civili”. Un relativismo culturale, questo, che può trasformarsi nell’aperta apologia di crimini e mostruosità commesse “lontano da noi”, in questo modo inficiando lo stesso valore della parola resistenza.

Se è difficile affrontare l’argomento guerra, non per questo è accettabile banalizzare la questione fino a sostenere prassi indifendibili. Eppure è quello che hanno fatto o stanno facendo taluni partiti, gruppi e movimenti. Movimenti che a prima vista sembrerebbero essere contro la guerra, ma che non lo sono, e che purtroppo rischiano di prendere sempre più piede, poiché le loro tesi non sono confutate adeguatamente.

Parlando della guerra in Ucraina, per esempio, ci sono stati degli “anarchici” che, anche in Italia, avrebbero voluto arruolare il movimento anarchico – che per fortuna non si è lasciato arruolare – tra le fila dell’esercito di Zelenskyj, giustificando questo tentativo con degli inopportuni paragoni con la Resistenza italiana. Ma è vero, d’altra parte, che i sostenitori di Putin tra la sinistra extraparlamentare italiana non mancano, e questo dato può derivare dalla natura dell’area politica in questione, che non è mai stata libertaria e che è ancora schiava di un antimperialismo doppiopesista e si lascia attrarre dal mito dell’uomo d’acciaio.

Con questo scritto ci teniamo a rimarcare la nostra posizione internazionalista e antimilitarista: il rifiuto cioè di tutti gli eserciti, di tutti i fronti nazionalisti, di tutti i conflitti armati intrapresi dagli Stati. Per noi non c’è e non ci sarà mai un esercito da sostenere, uno Stato da appoggiare contro un altro Stato, un capitalismo nazionale da rafforzare contro gli interessi di un altro capitalismo. Di fronte alla guerra e a ciò che produce, fare il tifo è una cosa che ci fa schifo. La posizione di chi si dichiara antimperialista ma poi, in qualche modo, appoggia uno specifico imperialismo contro un imperialismo antagonista, è per noi una posizione ipocrita.

Tutti gli Stati sono responsabili, a qualsiasi latitudine, dei frutti avvelenati della guerra: da una parte distruzione, rovine, morte e sofferenze che non potranno mai guarire del tutto, e dall’altra un immenso flusso di denaro che arricchisce chi sulla guerra lucra da sempre, come le imprese che producono, esportano e vendono armi e tecnologia bellica o come le compagnie neocoloniali multinazionali che estraggono valore depredando i territori sconvolti dai conflitti militari.

Noi stiamo con chi le guerre le diserta e stiamo con chi resiste all’oppressione, ma senza l’intenzione di creare nuovi dispotismi o nazionalismi escludenti e senza dare nuova linfa alle entità statali.

Ancora una volta dobbiamo affermare, come fecero a loro tempo gli anarchici russi nel maggio 1917, durante la prima guerra mondiale, che “non facciamo alcuna distinzione tra guerre accettabili e inaccettabili, perché per noi esiste un solo tipo di guerra, la guerra sociale contro il capitalismo e i suoi difensori” .

È del tutto idiota e puerile, dopo aver moltiplicato le cause e le occasioni di conflitto, cercare di attribuirne la responsabilità a questo o a quel governo. (…) La verità è che la causa delle guerre poggia unicamente sull’esistenza dello Stato, che è la forma del privilegio. (…) Qualunque forma esso assuma, lo Stato non è altro che l’oppressione organizzata a vantaggio di una minoranza privilegiata. (…) L’azione e la diffusione della concezione anarchica dovrebbe tendere, con assiduità e perseveranza, a indebolire e infine dissolvere i vari Stati, a coltivare lo spirito di ribellione, e a suscitare lo scontento nei popoli e negli eserciti” [Internazionale Anarchica, Manifesto contro la guerra del 1915].

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