Brevi considerazioni a proposito di alcune critiche all’articolo “Guerra in Ucraina, il dibattito in campo anarchico”

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Immaginavamo che il nostro articolo Guerra in Ucraina, il dibattito in campo anarchico potesse generare alcune critiche, proprio perché ormai si tende ad abituarsi a quell’approccio che nel corso di un dibattito tende a dividere il campo in schieramenti contrapposti, ogni qual volta compare una questione che sembra od è divisiva.
Schierarsi da una parte o dall’altra, oggi nella discussione sulla guerra così come già accaduto in materia di pandemia e virus, diventa così non solo una opzione ma una pretesa che si esige per iniziare un qualsiasi dibattito.

Si vorrebbe oltretutto lo facessero tutti, perché chi non si schiera in maniera netta, senza riserve, nel dibattito in corso, ma si colloca in una posizione percepita come intermedia che solleva problemi, dubbi, critiche ed analisi, finisce sempre per generare dell’irrequietezza, dell’incertezza, addirittura dell’antipatia. Quando non si è più sicurx delle proprie certezze, invece di riflettere può sembrare più semplice sotterrare i problemi e criticare chi li ha sollevati, senza portare nemmeno sufficienti armi per sostenere le proprie ragioni. Non vi è bisogno di farlo poiché basta affermare: se non sei con quelli allora sei con gli altri, e viceversa.
Comunque, aldilà di chi ragiona in questo modo, a volte arrivano invece anche critiche che, a prescindere dal loro valore, offrono motivo di approfondire il tema.
Ne diamo conto.

Riguardo la nostra critica all’arruolamento di parte della sinistra ucraina e di settori dell’anarchismo nei ranghi dell’esercito, ci sono giunti a nostra volta alcuni appunti critici, tesi a giustificarne invece la piena conformità con l’ideale anarchico, con queste parole: (…) “gli anarchici tradizionalmente si sono sempre schierati dalla parte di chi è aggredito e oppresso dai potenti di turno e hanno sempre risposto, armi alla mano, alle aggressioni militari dei tiranni. La qual cosa non implica che abbiano smesso di essere antimilitaristi”.

Tutto quasi vero, ma non è questa la materia del dibattito; se si legge bene l’articolo “Guerra in Ucraina, il dibattito in campo anarchico”, in esso non si critica la piena legittimità della resistenza armata ad un’aggressione, interna o esterna che sia e da qualsiasi parte provenga, da parte di una qualsivoglia popolazione oppressa o di una sua parte. Questa legittimità anzi va difesa sempre.

Si parla invece, ed è cosa ben diversa, della scelta criticabile di arruolarsi nell’esercito statale o in formazioni controllate direttamente dallo Stato, piuttosto di scegliere di portare avanti una resistenza autonoma – autonoma sia nelle strategie che nelle motivazioni – e svincolata da pericolosi legami con la disciplina militare nazionalista e statolatra.

Una critica, tra l’altro, che viene fatta propria anche da quegli anarchici ucraini che pur dimostrando di sostenere la popolazione colpita dalla guerra, con aiuti di vario tipo ed aiutando i renitenti e i disertori, ed anzi proprio per questo, hanno scelto comunque di non arruolarsi (…eh già, perché, proprio come in Russia, in Ucraina oggi c’è la legge marziale e la mobilitazione totale, per cui gli uomini validi vengono arruolati a forza e non possono fuggire dato che per loro le frontiere sono chiuse)1.

Sinceramente, non possiamo vedere nella scelta di entrare personalmente in guerra nei ranghi di un esercito in guerra contro un altro, e di vestire un’uniforme statale – fosse anche comprensibile umanamente, dato il contesto venutosi a creare (qualcuno potrebbe dire che forse non esistono altre alternative) -, una seria modalità di intervento anarchico che sia davvero sostenibile “politicamente”, oppure documentabile nella lunga storia del nostro movimento.

Residui di “garibaldinismo” li possiamo trovare solo andando parecchio indietro nel tempo, all’epoca della nascita della Prima Internazionale, nel sentimento di alcuni internazionalisti (o internazionali, come si usava dire allora) transitati da poco tempo da Mazzini a Bakunin e dal repubblicanesimo al socialismo anarchico.
Questi ex repubblicani convertiti accorrevano ogni volta pensavano ci fosse una “guerra di liberazione” in atto, come fu il caso, ad esempio, delle guerre che i paesi balcanici intrapresero per sottrarsi al dominio turco-ottomano, della guerra franco-prussiana del 1870-1871 (che vide al suo termine la nascita della Comune di Parigi, che a seguito delle sconfitte militari francesi armò la cittadinanza, cacciando l’esercito dalle strade della capitale, fino ad essere schiacciata nel sangue dai governativi) e della guerra greco-turca del 1897.2.

Alcuni anche noti internazionali dell’epoca – uno dei più famosi fu senza dubbio Amilcare Cipriani, già con Garibaldi nell’impresa dei Mille – si spesero per costituire legioni e brigate, o Corpi Volontari con arruolamento di sovversivi, per andare a combattere sul campo. Vere e proprie campagne militari da intraprendere per combattere Stati considerati autocrati e oscurantisti, come appunto la Prussia o la Turchia di allora (ma finendo per sostenere di fatto monarchie come il Regno di Grecia e nazioni colonialiste come la Francia repubblicana) e per appoggiare l’autonomia dei popoli sottomessi (concetto, quello di popolo, che per la sua natura aclassista e trasversale si presta a molteplici quanto equivoche interpretazioni ancora oggi, soprattutto oggi).

Tutto ciò però avveniva, come ricordato, nei primissimi anni dell’internazionalismo, segnati da un bagaglio teorico di tipo ottocentesco, e quando la sistematizzazione di un pensiero anarchico non era ancora del tutto compiuta; ed avveniva soprattutto sull’esempio e sulla falsa riga degli insegnamenti di quel Giuseppe Garibaldi, oggi considerato “padre della patria” al pari di Cavour, Vittorio Emanuele e Mazzini (che da esiliato e condannato a morte dalla monarchia sabauda, finì i suoi giorni in Italia sotto falso nome).
Quel Garibaldi, che se almeno formalmente aderì negli ultimi anni della sua vita alla Prima Internazionale – “il socialismo è il sol dell’avvenire”, come sappiamo è una sua frase celebre -, di certo però non fu mai un anarchico.
Quando il pensiero anarchico si definì maggiormente, Malatesta e non solo lui criticarono apertamente quei residui di “garibaldinismo” ancora presenti all’interno del movimento anarchico, considerati giustamente come delle forme di collaborazione tra proletariato e borghesie nazionali. Residui da cui il movimento doveva liberarsi.

Quello che però quasi mai abbiamo nella storia dell’anarchismo è il tacito accordo col proprio governo nazionale, come invece pare stia accadendo in Ucraina (il condizionale è comunque d’obbligo, poiché non ci giungono notizie sufficientemente dettagliate dal contesto ucraino, a cominciare da quale grado di autonomia reale hanno le formazioni militari in cui operano persone che si presentano come anarchiche, ma anche se ci sono o meno atti di insubordinazione nell’esercito ucraino e proteste sociali che frantumino la retorica della concordia nazionale; notizie che non siano deformate dalla censura e dalla propaganda di guerra, sia dell’uno che dell’altro campo).

Il precedente storico dove questa alleanza contro natura anarchici-governo si è verificata – trascurando il ruolo di quegli anarchici “interventisti” che durante la prima guerra mondiale sostennero i loro governi nell’impresa bellica, poiché furono senz’altro una minoranza anche all’interno dei movimenti dei rispettivi paesi – e anzi, l’unica volta che si è avuta davvero, è stata nella Spagna della rivoluzione e della guerra civile contro il franchismo. In quel caso sappiamo appunto com’è andata a finire, non solo per i colpi degli avversari (governativi e stalinisti) ma per le colpevoli responsabilità dei dirigenti anarchici della Confederación Nacional del Trabajo (CNT) che partecipavano al governo, e che pensavano, con la militarizzazione delle milizie, di vincere la guerra contro Franco. Le milizie – cuore pulsante della rivoluzione, assieme alle imprese collettivizzate – da autonome che erano in origine subirono infatti quel processo di subordinazione alle esigenze dello Stato spagnolo che oggi è considerato un errore da quasi tutti gli anarchici nel mondo.

Questo è proprio smettere di essere antimilitaristi!

Forse, per ricondurre il discorso sui binari giusti, vale la pena rileggersi le critiche che Malatesta, Galleani ed altri noti anarchici scrissero per contestare la posizione di chi – Kropotkin e gli altri sottoscrittori del famoso “Manifesto dei sedici” del febbraio del 1916 – nel corso del primo conflitto mondiale, prendendo un abbaglio madornale, prese le difese della Francia “democratica” nella guerra contro gli imperi centrali3.

Anche allora era in corso una guerra tra nazioni e imperialismi, e come in tutte le guerre, allora come oggi, c’è sempre chi aggredisce o dichiara la guerra per primo. Anche allora chi prese l’abbaglio militarista tendeva a presentare le sue ragioni come una scelta obbligata tra campo democratico e autocrazia. Si giunse così all’assurdo che per sconfiggere un militarismo se ne abbracciò un altro (sembra che poi Kropotkin, negli ultimi anni di vita, rimpianse quella sua scelta).

Già Malatesta, allo scoppiare della guerra mondiale, aveva avuto modo di rendere note le sue idee antimilitariste, guarda caso proprio dalle colonne del giornale inglese “Freedom”, con il famoso articolo “Gli anarchici hanno dimenticato i loro principi”4:

“Non sono un “pacifista”, scriveva, “Combatto, come tutti noi combattiamo, per il trionfo della pace e della fratellanza tra tutti gli esseri umani; ma so che il desiderio di non combattere può essere soddisfatto solo quando nessuna parte ha il desiderio opposto, e che finché ci sono persone che vogliono violare le libertà degli altri, questi dovranno difendersi se non vogliono essere eternamente battuti. E so, anche, che spesso l’attacco è il miglior modo o l’unico per difendere se stessi. Inoltre, penso che gli oppressi siano sempre in uno stato di legittima difesa personale e abbiano sempre il diritto di attaccare i loro oppressori. Ammetto, di conseguenza, che vi sono sono guerre necessarie, guerre sante – e cioè le guerre di liberazione, come sono, in generale, le “guerre civili”, cioè vale a dire le rivoluzioni. Ma l’attuale guerra, che cosa ha di comune con l’emancipazione umana, con la nostra causa?”

Poi, in un altro articolo sull’argomento, emblematicamente intitolato “Anarchici pro governo”, pubblicato in inglese sempre sulle pagine di “Freedom”5, Malatesta rincarava la dose, questa volta rispondendo in maniera diretta al “Manifesto dei sedici” e ai suoi estensori:

“non si può, per rispetto della sincerità e nell’interesse dell’avvenire del nostro movimento emancipatore, non separarsi nettamente dai compagni che credono possibile conciliare le idee anarchiche e la collaborazione con i governi e la borghesia di certi paesi nelle loro rivalità contro le borghesie e i governi di altri paesi”; “gli anarchici, i quali pressoché al completo sono rimasti fedeli alle loro convinzioni, debbono protestare contro questo tentativo di compromettere l’anarchismo nella continuazione di questa feroce carneficina che non ha mai permesso alcunché di buono alla causa della giustizia e della libertà”.

Ed ancora: “La linea di condotta degli anarchici è tracciata dalla logica medesima delle loro aspirazioni: si dovrebbe impedire la guerra facendo la rivoluzione o almeno incutendo ai governi la paura della rivoluzione. Fino ad oggi non si è potuto o saputo farlo. Ebbene non vi è che un rimedio: fare meglio nell’avvenire”.

Ma se al di fuori della rivoluzione popolare, non v’è altro mezzo, per resistere alla minaccia di un’armata disciplinata che di avere un’armata ancora più forte e disciplinata” allora anche “i più feroci antimilitaristi, se non sono anarchici e non credono nella dissoluzione dello Stato, sono fatalmente destinati a diventare degli ardenti militaristi” (…) “Possono gli anarchici, anche per un solo istante accettare questo stato di cose senza rinunciare a dirsi tali?”
La risposta di Malatesta è ammirevole nel rifiuto di qualsiasi nazionalismo:

Per me, meglio ancora la dominazione straniera che si subisce per forza e contro la quale ci si rivolta piuttosto che la dominazione indigena che si accetta docilmente, quasi con riconoscenza, credendo in questo modo di essersi garantiti da un male più grande”.

In più, c’è da dire che Malatesta, coerentemente con l’ideale anarchico, vede come ogni guerra non sia altro che l’anticipazione e il carburante di quella successiva, ancora più grande e distruttiva, dato che gli Stati, per loro natura, non possono che praticare una politica di guerra permanente.

Nel caso il conflitto bellico facesse capolino nel paese in cui si vive, un paese precedentemente risparmiato dalla guerra, avvertiva: “Che cosa diranno allora i sedicenti anarchici che oggi vogliono la vittoria di uno dei belligeranti? Continueranno a dirsi antimilitaristi e a predicare il disarmo, il rifiuto al servizio militare, il sabotaggio della difesa nazionale, per diventare, alla prima minaccia di guerra, i sergenti reclutatori dei governi che avevano tentato di disarmare e indebolire?”

Ci sarebbe poi l’altro annoso problema, e cioè quello della “difesa della democrazia”.

L’Ucraina, in questo caso, viene vista (e a ragione, probabilmente) come “meno peggio” della Russia di Putin, ormai trasformatasi in un regime brutale e liberticida, dove il dissenso è perseguito con il pugno di ferro e con anni di galera per gli oppositori.

La domanda però è: tocca agli anarchici difendere il regime democratico parlamentare e l’assetto liberale delle istituzioni? Detto in maniera più semplice: devono forse gli anarchici trasformarsi nei difensori degli Stati cosiddetti “democratici”?

Malatesta affermava:

“Governo significa diritto di fare la legge e d’imporla a tutti colla forza: senza gendarmi non v’è governo”; “Noi non siamo né per un governo di maggioranza, né per un governo di minoranza; né per la democrazia, né per la dittatura. Noi siamo per l’abolizione del gendarme. (…) Noi siamo per l’anarchia”6.

Poche parole, ma chiare, sulla natura dei governi, anche di quelli che si vogliono battezzare come “democratici”. Ecco, noi restiamo con Malatesta:

“Oggi come sempre il nostro grido sia: Abbasso i capitalisti e i governi, tutti i capitalisti e tutti i governi!” [E. Malatesta “Anarchici pro governo”]7.

Piccoli Fuochi vagabondi

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NOTE

1) Un documento del gruppo Assembly, che si attesta su queste posizioni lucidamente antimilitariste, è stato tradotto e ripreso anche da Umanità Nova: https://umanitanova.org/guerra-in-ucraina-e-diserzione-intervista-con-il-gruppo-anarchico-assembly-di-kharkiv-iten/

2) “La Compagnia della morte. Gli anarchici garibaldini nella guerra greco-turca del 1897. Ritratto di gruppo”, capitolo presente nel libro di Maurizio Antonioli , “Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra”, Pisa, BFS, 2009.
Il saggio di Antonioli rispolvera la partecipazione di un gruppo di anarchici italiani alla Legione Cipriani durante la guerra greco-turca del 1897 

3) Una edizione delle critiche anarchiche al manifesto dei sedici la si può trovare qui: https://www.edizionianarchismo.net/library/manifesto-dei-sedici

4) “Anarchists Have Forgotten Their Principles”, Freedom, Londra, novembre 1914, ora compreso nelle opere complete di Errico Malatesta, nel volume “E’ possibile la rivoluzione? Volontà, la Settimana Rossa e la guerra”, co-edizione La Fiaccola e Zero In Condotta, 2019

5) E. Malatesta “Pro-Goverment Anarchists”, Freedom, Londra, aprile 1916, compreso nella raccolta fatta da Anarchismo e leggibile all’indirizzo web https://www.edizionianarchismo.net/library/manifesto-dei-sedici; ora incluso, nella versione un poco differente pubblicata in italiano il 6 maggio su l’Era Nuova di Paterson, nelle opere complete di Errico Malatesta, nel volume “E’ possibile la rivoluzione? Volontà, la Settimana Rossa e la guerra”, 2019

6) E. Malatesta, “Né democratici Né dittatoriali: anarchici”, Pensiero e Volontà, anno III, n.7, Roma, 6 maggio 1926

7) E. Malatesta “Pro-Goverment Anarchists”, Freedom, Londra, aprile 1916