VITUPERATO AMORE, vituperata anarchia.

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Sui giornali e in tv per settimane abbiamo sentito sbraitare di “attacco alle istituzioni” e “pericolo anarchico”, in riferimento ai cortei e alle azioni in solidarietà ad Alfredo Cospito, prigioniero nelle carceri dello Stato italiano, in sciopero della fame, primo anarchico ad essere sottoposto all’infame regime annichilente del 41 bis.

Che il dinamismo della solidarietà, in Italia e all’estero, sia percepita come fastidiosa non c’è dubbio. Il governo ha provato a far passare sotto silenzio la vicenda di un anarchico al 41 bis, e condannato per una strage senza strage, finché ha potuto, ed è solo quando non è più stato possibile far finta di niente che la canea mediatica di quelle facce di merda della maggioranza, degli scribacchini prezzolati delle redazioni, dei biliosi magistrati “anti-anarchici” e del partito tutto della legalità si è fatta sentire con maggiore intensità ed inusitata insulsaggine.

Se si prestasse ascolto alle stupidaggini profuse dai canali di informazione ufficiale, completamente prostrati ai desiderata del potere politico-economico, sembrerebbe che il movimento anarchico sia un enorme mostro responsabile di chissà quali vituperate azioni: attentati a casaccio, uccisioni e coinvolgimento di innocenti, accordi e convergenze con la mafia e, chissà, forse anche cannibalismo.
Si rispolvera per l’occasione, insomma, tutta la serie di preconcetti, frottole e falsità che da sempre hanno accompagnato le superstizioni riguardo all’ideale anarchico, dipinto come promotore di caos e carneficine spaventevoli, con l’apparato dello Stato che addebita i suoi propri caratteri peculiari a quelli che sono i suoi avversari.

Sfogliando il quaderno della storia, però, vediamo che le cose non stanno proprio così. Se guardiamo agli ultimi decenni di storia italiana, anarchiche ed anarchici non hanno mai ucciso persone, né tanto meno hanno coinvolto innocenti come risultato delle loro azioni.

Anche se andiamo a guardare addietro nel tempo, chi ha abbracciato l’ideale anarchico ha sempre agito direttamente contro strutture e personalità del potere, o contro loro collaboratori e vili servi armati come sono stati per esempio i fascisti; e quando in passato hanno pur ucciso Re, presidenti o boia prezzolati, parliamo comunque di attori di primo piano, mercenari e soldati di ventura, di quella che è stata ed è la guerra sociale contro la classe oppressa, e giammai di innocenti.

Quando pochi fatti hanno coinvolto persone estranee, come per esempio è stato in Italia il caso della strage al teatro Diana di Milano avvenuta il 23 marzo del 1921, questi sono avvenuti come tragico risultato di errori infausti, amaramente rimpianti dagli autori degli stessi1.

Se consideriamo la strage del Diana, questa avveniva in condizioni psicologiche particolari, nell’Italia del biennio rosso, paese attraversato da violenze continue da parte dei fascisti, eccidi di piazza e repressione spietata da parte del governo. Avveniva con Errico Malatesta che, allora già quasi settantenne, era stato tratto in arresto assieme ad altri anarchici come Armando Borghi, allora segretario dell’Unione Sindacale Italiana, e che stava rischiando di morire in carcere dopo aver intrapreso uno sciopero della fame per sollecitare l’inizio del processo, richiamare l’attenzione e smascherare quella che si dimostrò essere una montatura giudiziaria, una delle tante contro il movimento anarchico. Tanto che nel luglio 1921, assolti da ogni accusa, Malatesta e gli altri furono definitivamente rimessi in libertà.

La dura repressione sopportata dal movimento anarchico, le brutalità e gli omicidi da parte dei fascisti, l’esasperazione per la mancata indizione del processo, la paura che Malatesta morisse – su Umanità Nova, i cui redattori erano anch’essi tra gli arrestati, era uscito un articolo dal titolo “Compagni! Malatesta muore!” – e la constatazione che le numerose dimostrazioni di protesta e di solidarietà, organizzate in tutta Italia, non erano servite a smuovere la situazione, fecero commettere quell’errore di valutazione fatale. Dal momento che l’esplosivo del gruppo anarchico-individualista, composto dal mantovano Giuseppe Mariani e da altri, avrebbe dovuto essere indirizzato contro la Questura centrale e poi, dopo sopraggiunte complicazioni, contro l’appartamento del questore di Milano, Giovanni Gasti, uno dei responsabili della repressione. E non contro il teatro Diana, dove la bomba, erroneamente posizionata davanti ad una parete, causò una ventina di morti tra i musicisti e gli avventori.

Secondo le informazioni in possesso di Mariani e compagni, l’appartamento del questore si trovava invece all’albergo Diana, vicino all’omonimo teatro. Una stanzetta che serviva al questore come luogo di cordiali incontri con Benito Mussolini, allora non ancora capo del governo ma solo delle squadracce fasciste che imperversavano per il paese.

Ricordiamo la circostanza, di certo non casuale, avvenuta subito dopo l’esplosione della bomba, quando i fascisti in poche ore devastarono la sede del giornale socialista, l’Avanti, quella del quotidiano anarchico, Umanità Nova, e la sede dell’USI.

Il governo sfruttò l’avvenuta strage per attuare una feroce repressione contro anarchici e socialisti. Molti anarchici milanesi, i più del tutto estranei alla vicenda, vennero arrestati per complicità nell’attentato. Giuseppe Mariani, reo confesso, Giuseppe Boldrini ad Ettore Aguggini furono condannati al processo: all’ergastolo i primi due e a 30 anni di carcere il terzo. Anche Mussolini approfittò del momento, e della sensazione che la strage aveva generato nel paese, per costruire attorno al movimento fascista una fuorviare immagine di partito dell’ordine, dopo che per due anni si era dato ad incendi, devastazioni ed assassinii.

Malatesta, il cui processo era stato infine fissato il 25 marzo 1921, nel deprecare il tragico risultato del gesto di Mariani e compagni, non si volle mai però abbassare (al contrario di certi “libertari” di oggi) al ruolo di giudice, e non prese mai le distanze dagli autori, considerati anzi “compagni nostri, buoni compagni nostri, sempre pronti al sacrificio per il bene degli altri, e nel compiere il loro tragico ed infausto gesto intendevano fare opera di sacrificio e di devozione. Quegli uomini hanno straziato degli incolpevoli in nome della nostra idea, in nome del nostro e del loro sogno d’amore (…). Rivendicare il fatto, tanto contrario ai nostri sentimenti ed agli interessi della nostra propaganda, è assurdo, impossibile. Condannare gli autori è ingeneroso, ingiusto, altrettanto impossibile. Bisogna comprendere”.

E Malatesta, all’avvicinarsi del processo per la strage, scriveva di non aver bisogno di ripetere la propria scontata disapprovazione per attentati come quelli del Diana, dato che “ora non si tratta di giudicare il fatto, e discutere se era bene o male il farlo e se sarebbe bene o male il farne dei simili. Ora si tratta di giudicare degli uomini, minacciati da una pena mille volte peggiore della pena di morte, ed allora bisogna esaminare chi sono quegli uomini, quali erano le loro intenzioni, quali le circostanze ambientali in cui hanno agito”, tanto da rimpiangere “di non essere avvocato per andare innanzi ai giurati a domandare l’assoluzione”2.

Dunque la storia ci dice che, sì, anche gli anarchici hanno ucciso, così come hanno ucciso, in altre situazioni, gli uomini e le donne di differenti scuole di pensiero e partito.

Anarchiche ed anarchici hanno impugnato il pugnale, la lima, la pistola, la dinamite ed hanno colpito, operando però una scelta nei loro obiettivi, e non a casaccio. Qualche volta hanno commesso degli errori, perché errare come si sa è umano, ed ucciso delle persone innocenti e fatto soffrire. Questo però non a causa delle loro idee e dei loro propositi, ma nonostante le loro idee e i loro propositi.

Nel corso della storia, anche i monarchici, i repubblicani, i mazziniani, i liberali, i socialisti, i comunisti, i fascisti… hanno impiegato la violenza ed ucciso, e ben più di quanto abbiano mai fatto gli anarchici. Persino i cristiani, con l’inquisizione e le crociate.

E persino Gesù, raffigurato come un frikkettone ante litteram, non era immune dall’impiego della violenza, se ha scacciato i mercanti dal tempio di Gerusalemme3.

I “padri dell’unità d’Italia”, oggi celebrati sui libri di storia, con monumenti e piazze, quando erano in vita erano considerati dei terroristi e dei sanguinari, hanno messo bombe e compiuto attentati, o li hanno fatto compiere da altri (Mazzini insegna). Eppure oggi sono considerati santi e valorosi.

Gli stessi iscritti ai partiti che compongono l’attuale governo hanno ammazzato… pensiamo all’assessore alla sicurezza di Voghera, Massimo Adriatici, della Lega, che nell’estate del 2021, dopo una lite, ha sparato in piena piazza a Youns El Boussetaoui, uccidendolo.

E cosa dire di Luca Traini, neofascista ed ex candidato della Lega (si presentò alle elezioni per il consiglio comunale di Corridonia, non prendendo nemmeno un voto), che a Macerata pensò bene di andare a caccia di non italiani con la sua auto, sparando per le vie della città e ferendo sei persone? Solo per un caso fortuito non commise una strage nella sua impresa di “controllo dell’immigrazione”.

Eppure non risulta che ci furono interpellanze, interrogazioni o indagini della magistratura ad accusare il partito di Salvini di “partecipazione morale”, “associazione eversiva” o “associazione per delinquere”. Nessuno chiese lo sgombero delle sedi della Lega sul territorio italiano.

Nella compagine partitica che sostiene il governo Meloni, più di un esponente ha egli stesso nel proprio passato storie di azioni violente contro avversari politici: ferimenti, pestaggi, bombe e bombette4. Eppure oggi questi ex picchiatori ed amici di golpisti, tolta la camicia nera coi simboli dei NAR e di Terza Posizione ed indossato il doppiopetto, rivestono cariche istituzionali. Ora si atteggiano a novelli Mahatma Gandhi, quando se la prendono con la “furia anarchica”.

I neofascisti di Cagapound, militanti o simpatizzanti che siano, hanno ucciso più di una volta: Samb Modou e Diop Mor a Firenze, Emmanuel Chidi Nnamdi a Fermo, Silvio Fanella a Roma. Nonostante ciò, questo raggruppamento continua ad aprire le proprie sedi, senza che ci sia troppo clamore, se non quello delle proteste da parte dei gruppi antifascisti.

Sparano ed uccidono i commercianti, i bottegai, i gioiellieri per difendere la propria merce. Da buoni ipocriti, eliminano vite per ribadire la sacralità della proprietà privata, e poi passano in chiesa la domenica mattina a pregare per la salvezza della propria anima.

Anche gli Stati democratici, uccidono. Eccome, se lo fanno! Uccidono ogni volta che un loro soldato uccide, uccidono ogni volta che un detenuto viene trovato morto in una patria galera, uccidono ogni volta che un manifestante cade sotto il piombo della polizia o una persona qualunque viene pestata a morte quando si trova nelle mani dei suoi aguzzini in divisa, magari a seguito di un “semplice controllo”. Lo Stato italiano ha ucciso a sangue freddo Mara Cagol e altre decine di militanti della lotta armata sparandogli nel sonno o quando si erano già arresi, ed uccide pure, se pur indirettamente, quando uno sfruttato cade da una balaustra o viene stritolato dall’ingranaggio di una macchina.

In guerra, culmine dell’ipocrisia e della doppiezza morale, lo Stato chiama eroi coloro che commettono più omicidi, e li premia con medaglie ed onorificenze.

C’è una differenza sostanziale, quantitativa e qualitativa insieme, tra la violenza dello Stato e quella degli anarchici, tra la violenza del potere costituito e quella dei senza potere. A differenza degli anarchici, lo Stato colpisce nel mucchio, o meglio, in un mucchio particolare: la massa sfruttata e subalterna. Certo, potremmo lasciar perdere gli anarchici e i sovversivi in genere, che lo Stato ritiene – a ragione – suoi nemici. Ma vi è che lo Stato uccide anche quelli che generalmente chiamiamo innocenti, e lo fa non perché commetta errori di valutazione, ma semplicemente perché è la sua natura: la guerra, le guardie, il lavoro salariato…uccidono. Il carcere uccide, è un luogo di annientamento sistematico, una catena di smontaggio di vite umane, anche se a nessuno sembra importare perché “lì non ci sono innocenti”.

Ma tornando alla violenza anarchica, anche a guardare alla storia italiana, quella recente degli ultimi 50 anni – ossia quella che va dall’omicidio di Pinelli, scaraventato fuori dalla finestra della questura milanese nel dicembre 1969, ad oggi – , anche nello scontro tra Stato e movimento anarchico è quest’ultimo ad essere in credito nei confronti del primo. Giuseppe Pinelli, Angelo Casile, Gianni Aricò, Franco Scordo, Luigi Lo Celso, Annalise Borth, Franco Serantini, Walter Pezzoli, Maria Soledad Rosas (Sole), Edoardo Massari (Baleno), Salvatore Cinieri, Gianfranco Faina, Horst Fantazzini, Carlo Giuliani, Francesco Matrogiovanni…sono i nomi delle compagne e dei compagni, e dei sovversivi senza bandiere, uccisx o mortx nella mani dello Stato. In poco più di 50 anni, è lo Stato ad aver spezzato le vite di anarchici ed anarchiche.

Lo Stato italiano è anche capace di azioni disgustose. Tra le tante che potremmo riportare ci basti come orrendo esempio quella del 6 giugno 1971, quando a Milano, nel corso dello sgombero di una palazzina popolare di via Tibaldi, occupata da decine di famiglie operaie, il fumo provocato da decine di candelotti lacrimogeni sparati dalle forze di polizia provocò la morte di Massimiliano Ferretti, di 7 mesi appena.

Non desta meraviglia che lo Stato – anche quando ama agghindarsi con gli abiti democratici – sia un’associazione terroristica con licenza di uccidere e torturare; basta scorrere la lista di morti e feriti gravi che ha sulla coscienza a partire dal secondo dopoguerra, con eccidi di lavoratori, uccisioni a freddo di compagne e compagne nelle piazze, “suicidati” nelle carceri e morti ammazzati “per errore” dopo un controllo di documenti. Non è nemmeno un caso se nella generalità dei casi, i responsabili materiali se la siano cavati o con assoluzioni o con pene inferiori a quelle comminate ai ladri di galline. Conclusione logica, se nel giudicarli erano gli apparati statali, ovvero i responsabili morali.

Queste morti, questi abusi, queste schifezze commesse da funzionari e apparati istituzionali, ci dicono come lo Stato non è certo nella posizione di poter additare qualcun altro come violento. La violenza – metodica, congenita, di sistema – sta tutta dalla sua parta, quella degli anarchici, e della classe oppressa in generale, è legittima resistenza.

Allora, se non è davvero la violenza del movimento anarchico a preoccupare i capi-bastone del governo – violenza al giorno d’oggi più che altro simbolica, dimostrativa, tesa a richiamare l’attenzione su determinati fatti, nel caso specifico sul fatto che c’è un compagno condannato a morte per il solo motivo di essere anarchico e perché non ha mai abiurato i suoi ideali – appare almeno più chiaro il perché un governo composto da ex fascisti o ancora fascisti – il governo di Giorgia Meloni – ha bisogno, per restare in sella, di crearsi nemici pubblici contro cui indirizzare la repressione e la condanna sociale. Così facendo, infatti, il governo, nel mentre si legittima di fronte al proprio elettorato di destra e di estrema destra, tende a far dimenticare che in politica economica non può fare altro che seguire il solco ultra-liberista tracciato dai precedenti governi, in continuità con l’esecutivo del banchiere Mario Draghi.

Insomma, quello dell’allarme anarchici è un modo come un altro, magari inizialmente non scelto ma di sicuro strumentalizzato a dovere, per distrarre gli sprovveduti da quelle che sono le reali politiche intraprese, che – ca va sans dire – vanno come sempre a detrimento e a danno delle classi sfruttate e a beneficio dei soliti privilegiati, compagni di merende delle classi superiori.

Semmai a spaventare veramente lo Stato e i capitalisti, è che il movimento anarchico possa offrire, agli occhi delle classi oppresse, quando queste dovessero per caso incominciare a guardare con sguardo disincantato alle politiche del governo – di qualsiasi governo –, un esempio, storico e contemporaneo, di coerenza, di genuinità, di chiarezza nella scelta dei propri obiettivi. E che, dalla convergenza tra minoranza agente e rabbia sociale – che è altro dalle immaginarie convergenze udite in queste settimane – la goccia rappresentata dagli anarchici possa farsi tempesta sociale.

PFV ● https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org

febbraio 2023

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NOTE

1) Tralasciamo volutamente qui l’affare di Gianfranco Bertoli, autore dell’attentato alla Questura di Milano nel 1973 per mezzo di una bomba a mano, che uccise 4 persone, mentre si stava svolgendo una cerimonia con inaugurazione di un busto in ricordo di Luigi Calabresi, a cui partecipava anche il Ministro dell’interno, Mariano Rumor. Questo perché, aldilà del fatto che sembra che la bomba fu deviata dal calcio di un poliziotto che la allontanò e la spinse tra la folla, non è mai stato chiarito in modo univoco se Bertoli fosse davvero un anarchico stirneriano, come continuò ad affermare per tutta la sua vita, oppure no; anche se taluni credono che lo fosse, va ricordato che nel 2002 l’ex-direttore del Sismi, il generale Nicolò Pollari, durante un interrogatorio davanti ai giudici della terza Corte d’Assise d’Appello di Milano, affermò che Bertoli era stato un informatore, mentre la Cassazione, nella sentenza finale del processo per la strage, nel 2005, ha ritenuto che questa “rientrasse nei programmi di ‘Ordine Nuovo” pur non condannando nessuno tra i neofascisti indagati. Bertoli, dopo circa un quarto di secolo passato in carcere, una volta uscito finì per diventare un cattolico osservante.

2) Errico Malatesta, “Per i bombardieri del Diana”, Umanità Nova, n.209, 18 dicembre 1921

3Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò fuori tutti dal tempio con le pecore e i buoi, gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: portate via queste cose, non fate della casa del padre mio un luogo di mercato” [Purificazione del tempio, vangeli canonici, Giovanni 2, 12-25].

4) Ecco un esempio tra i tanti che si possono fare: Carlo Ciccioli, attuale capogruppo di Fratelli d’Italia alla Regione Marche, il 25 dicembre del 1974 fece parte del Fronte della Gioventù – gruppo politico giovanile del partito neofascista MSI – e sparò cinque colpi di pistola alle gambe di un militante di sinistra. Il fatto venne successivamente amnistiato. Vedi la voce su wikipedia: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Carlo_Ciccioli