LA SOCIETÀ DEL VOYEURISMO

L’era dei cosiddetti social network, ha impresso una accelerazione al processo che Guy Debord chiamava “società dello spettacolo”.
Se già prima del loro avvento i mass media e la politica, l’imprenditoria e il commercio avevano compreso come indirizzare e dirigere i gusti e i desideri attraverso immagini mirate, ad effetto, per propinare e dunque vendere la propria merce (una notizia, una promessa elettorale, un determinato prodotto…) è solo con l’introduzione dei social network, e dei computer e degli smartphone, che con l’immagine viene propagandata l’esibizione di un altro tipo di merce: noi stessi.

Il nostro tempo libero, il nostro corpo, i nostri gusti estetici, in altre parole la nostra stessa essenza è oggi merce. La si scambia e la si vende, consapevolmente, in cambio di un like, di un nuovo contatto, di una nuova “amicizia”, di una nuova visualizzazione. Oppure per promuovere in maniera “autogestita” (passatemi questo termine), servendosi però dei canali offerti dalle multinazionali del settore, un prodotto creato da noi.

Le nostre immagini – e le immagini che noi siamo – servono a creare un valore, insomma. Questo ci porta ad un’altra considerazione. Se la società del tecno-spettacolo istituzionalizza la dipendenza dalle immagini, allo stesso tempo crea il tossico che dipende da questo genere di droga: il voyeur.

La società del tecno-spettacolo é anche, naturalmente, la società del voyeurismo diffuso. L’ampliamento del voyeurismo non ci deve sorprendere: in una società la cui comunicazione passa soprattutto attraverso le immagini, tutti siamo per forza o per piacere, chi più chi meno, dei guardoni. Tanto più se le immagini che la tecnologia veicola promettono di mostrarci la vita delle persone, proprio in un momento in cui la vita fuori della tecnologia non sembra offrire ragioni sufficientemente valide per entusiasmarsi.

E qui arriviamo a quello che si dimostra essere l’ampliamento di un problema serio: il voyeurismo è un’azione di per sé statica, attendista, non propositiva. Chi guarda, per definizione resta ad osservare. Non agisce, non crea. Necessita che siano sviluppate solamente altre immagini da guardare. La crescita di una società di voyeur diminuisce gradualmente la capacità di creazione autonoma. Diminuisce la possibilità di passare all’azione per cambiare l’esistente. Una società simile è il trionfo dell’immobilismo. Dell’attendismo. Dell’immutevole. É la morte dei sensi. Ed è anche la garanzia dei padroni per continuare a sfruttare, devastare, opprimere senza temere di renderne conto, dato che mai nella storia si sono dati sussulti e rivolte rimanendo a guardare.

La rivoluzione ha invece bisogno di artisti, di impetuosi amanti appassionati alla vita, non sa che farsene di voyeurs.

Altesino Sandrozzi