Contrarre matrimonio con la libertà significa sposare per la vita non solo un’idea, quella anarchica, ma anche e soprattutto un’attitudine… l’attitudine a non lasciarsi sottomettere.
Cerchiamo di essere persone sincere: viviamo in un mondo la cui conformazione sociale ed economica ci mette nella scomoda posizione di dover accettare compromessi continui che idealmente reputeremmo disonorevoli ed inaccettabili.
Visto che la purezza non è possibile in un mondo non puro a volte si accetta di ingoiare sterco anche quando sappiamo non essere la nostra pietanza più prelibata, poiché la coerenza assoluta non è di questo mondo.
Il problema sorge quando a questo fagocitare si fa l’abitudine, e il sapore della merda comincia a non dispiacerci.
Vergogna è quando non proviamo più a ribellarci, scegliendo le vie traverse che ci vengono offerte, incapaci di cogliere la drammaticità della nostra condizione di persone sottomesse.
Le diverse impostazioni di fronte alla vita, tra chi accetta come normale ed inevitabile questa sudditanza, e chi invece prova a sottrarvisi infrangendo l’intollerabile peso delle leggi e delle norme scritte e morali, segnano la differenza sostanziale tra le persone schiave e l’individuo.
Le persone rese schiave sopportano e purtroppo sovente amano la loro schiavitù, che amano chiamare “vivere civile”, ed arriverebbero anzi ad uccidere per difenderla da coloro che vorrebbero rompere le catene, come del resto la storia insegna.
L’individuo, al contrario, odia la schiavitù, e la relativa sottomissione ad un’autorità superiore, con tutte le sue proprie forze. La sua opera è così sempre tesa a liberarsi da quest’ingerenza autoritaria.
Con propensione insieme critica e pratica, l’individuo porta avanti un progetto di libertà che è già pienamente attivo nel presente dal momento che viene elaborato. Si può dire che, dal momento in cui si diviene individui, non si può fare a meno di lottare con tutte le proprie forze per ottenere la libertà negata dalla società in cui si vive.
Altesino Sandrozzi