PRIMO MAGGIO di Leda Rafanelli

Il testo che facciamo seguire, preceduto da una breve presentazione nostra, è disponibile anche in versione opuscolo, ordinabile presso la distribuzione a cui ci appoggiamo. Ricordiamo che i ricavi (di tutto il nostro materiale), tolte le spese, vanno a sostegno della Cassa Antirepressione Capitano A.C.A.B. per compagnx inguaiatx con la legge. Un valido motivo, ci sembra, per ordinare le vostre copie cartacee.


Stampato a Firenze, dalla Libreria Rafanelli-Polli, in versione pamphlet di propaganda attorno al 1907, questo elaborato della scrittrice e militante anarchica Leda Rafanelli, al di là dello stile letterario dell’epoca, che ci può apparire senz’altro desueto, è una feroce critica allo snaturamento della giornata del Primo Maggio: da momento di lotta e sfida alle classi dominanti a “Pasqua” festiva dimentica degli eventi che hanno portato nel passato, e per tanti anni, a scontrarsi sulle pubbliche piazze con la sbirraglia e a morire sulle forche della reazione governativa e padronale per quelle conquiste che oggi si danno per scontate o che son già riperdute.

Questa smemoratezza, e insieme la scarsa propensione a dar battaglia — una fiamma purtroppo spenta, come annota Leda — della maggioranza dei lavoratori e delle organizzazioni operaie, è il frutto storico della collaborazione degli apparati sindacali e dei partiti socialisti parlamentaristi con le istituzioni governative e le corporazioni dei padroni. La Rafanelli lo individua esattamente, scrivendo che i socialisti disciplinarono i lavoratori organizzati, convincendoli che niente avrebbero ottenuto con la rivolta e miglior cosa era il rivolgersi “dignitosamente” alle classi dirigenti chiedendo le riforme.

Nel 1907, anno presunto della pubblicazione di questo scritto, Leda Rafanelli veniva denunciata per “Eccitamento all’odio di classe” per aver distribuito, proprio durante il 1 Maggio, a Fusignano in provincia di Ravenna, alcuni scritti di propaganda rivoluzionaria e antimilitarista, tra cui forse proprio il testo che segue (accusa che poi cadrà in fase istruttoria). Ecco, oggi che dell’“odio di classe” si fanno interpreti soprattutto governanti e padroni, e il manganello e la prigione si abbattono con rinnovata foga su quelli che osano lanciare ancora la sfida alle classi dominanti e guerrafondaie, incitare nuovamente all’odio contro di essi e le loro leggi è un esercizio salutare, come ci dice Leda, di ricordo delle lotte passate che addita le lotte avvenire.

PFV


I° Maggio

Alla storia la prima parola.

La parola della nostra storia si può ascoltare senza la tema di venire ingannati. Nessun opportunismo ne svisa i fatti, nessun abbellimento romantico umilia il fascino della verità che è l’essenza della sua base. L’aureola di gloria non l’hanno innalzata gli storici per la storia nostra, ma gli atti audaci, ma lo slancio entusiasta, ma la lotta senza tregua che gli individui e le folle hanno compiuto e tentato. E la storia dell’episodio che generò il primo maggio ha la sua essenza puramente rivoluzionaria, prettamente ribelle, sinceramente combattiva.

Se gli uomini, col tempo, hanno dimenticato l’origine di questa data storica non è, per questo, meno bella e simpatica per coloro che hanno saputo ricordarla. Il pensiero, in certe menti, sa mantenersi elevato; e sa vedere nelle meschine degenerazioni di questa età frasaiola, il riflesso lontano che ha generato una fiamma purtroppo spenta. E noi ribelli, pur sdegnando di prender parte alle feste che il proletariato sovversivo crede bene di fare al primo giorno del mese di maggio, pur non dicendo che in quel giorno il proletariato può celebrare la sua Pasqua, amiamo fare udire — in mezzo ai discorsi suonanti di sole parole — la nostra voce che è monito, la nostra parola che ricorda le lotte passate e che addita le lotte avvenire.

Il proletariato del Nord-America lanciò nel 1886 una sfida alla classe dominante. Le otto ore di lavoro era la conquista immediata che voleva conseguire, e difese la lotta ingaggiata non a parole, non con apatia indifferente, ma con moti insurrezionali e sciopero generale a oltranza. Contro la polizia provocatrice scoppiarono delle bombe, e furono arrestati quali autori cinque compagni nostri, Engel, Parsons, Spiess, Frimbrer e Lingg, che vennero poi impiccati nella mattina dell’11 novembre 1887 a Chicago.

Negli anni seguenti venne commemorato il primo maggio rivoluzionariamente. Anche in Italia negli anni 1886-1887 e 1898 la data storica venne commemorata ben altrimenti di come si usa commemorare adesso. Non fu la celebrazione di una pasqua, ma i lavoratori vollero abbandonare il lavoro senza l’ autorizzazione dei proprietari delle officine.
Dopo, nell’anno 1898 la reazione e la fame, esasperando gli uomini spinsero il popolo alla rivolta.
E nelle grandi città del settentrione, come in quelle della Toscana, fino ai paesi ed alle ville della Sicilia e delle Puglie, la sommossa rumoreggiò sotto il mite cielo della primavera.

Milano, Firenze, Pavia, Figline, Minervino Murge, lasciarono il solco più sanguinoso nella storia nostra. Milano ebbe le vie spazzate dalla mitraglia, morti, feriti, arrestati. Firenze ed altre città della toscana ebbero le piazze invase dalla folla tumultuante, e ricordo alcuni episodi di uno di quei giorni di rivolta, nel quale, dei proletari pistoiesi — presente la sottoscritta — crivellarono di sassate le case delle famiglie autorevoli della borghesia cittadina. A Figline la folla invase i locali del tiro a segno e impadronendosi dei fucili andò in piazza ove erano i soldati. A Minervino Murge, il Maggio ’98 ebbe tragici episodi. Vi furono dei morti, dei feriti, numerosi arresti, come a Figline. Seguiti dai processi ai tribunali eccezionali e da enormi condanne. E ancora, nel 1907 — alla distanza di tanti anni — le vittime dei moti insurrezionali politici di Minervino Murge e di Figline sono segregati nelle galere italiane; perché il popolo italiano non ha avuto la volontà di riavere nelle sue file i compagni caduti nella lotta.

E per alcuni anni la data storica conservò il suo carattere rivoluzionario, e il proletariato senti in quei giorni richiamare alla sua memoria — dalle parole dei propagandisti e dai giornali appositamente compilati — l’origine dell’agitazione per le rivendicazioni ottenute per volontà di popolo. Poi in contraddizione agli anarchici, che sempre hanno combattuto acciocché fosse rinunciata dalle folle la vergogna di supplicare la borghesia, i socialisti disciplinarono i lavoratori organizzati, convincendoli che niente avrebbero ottenuto con la rivolta e miglior cosa era il rivolgersi dignitosamente alle classi dirigenti chiedendo le riforme.

E negli ultimi anni abbiamo veduto la mattina del primo maggio, dopo o prima del comizio, una commissione di operai recarsi alla sede della autorità comunale e portare al sindaco una petizione, con i desiderata della classe proletaria.
Inutile dire che la nuova cerimonia non è che la triste degenerazione del fatto, informato di virili propositi che originò lo sciopero generale nei primi di maggio, nel Nord-America, in seguito alla pressante agitazione per le otto ore di lavoro.

Ora il primo maggio non è più che una festa, una pasqua proletaria, un pretesto a scampagnate, a bicchierate nelle quali spesso un oratore svolge un discorso suonante di parole e molto ottimista riguardo a quel proletariato che sembra essere soddisfatto a sentirsi l’eterno schiavo. L’officina non viene disertata per volontà degli operai, come protesta, come ricordo del dramma sociale originario. Lo stesso principale concede la vacanza, permette ai buoni operai di divertirsi una giornata sia pure cantando le strofe ove la borghesia viene combattuta con le più pure parole.

Ma corre tanta differenza tra le parole e i fatti.

Sorga però, in mezzo alla incosciente festa degli obliosi lavoratori la voce che sa ricordare il pensiero, che sa ancora comunicare la sua forza di ribellione e volontà demolitrice. Festa sarà per il proletariato sol quando sarà libero dallo sfruttamento del capitale, dalla schiavitù delle leggi, dalla oppressione del dogma, dalla dominazione degli uomini meschini che non sanno né possono combattere il nostro avanzare che con l’aprire galere, sequestrare libere voci, alzare forche, come nella grigia mattina di novembre si alzarono sotto il cielo della metropoli americana, come simbolo del pensiero libero e grande soffocato sotto la volgare sopraffazione della società attuale che osa schiacciare i suoi migliori e audaci individui per la tranquillità delle classi che dominano con la forza di tutte le oppressioni e per la sottomissione delle plebi asservite.

LEDA RAFANELLI