GUERRA IN UCRAINA, il dibattito in campo anarchico

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Guerra in Ucraina, il dibattito in campo anarchico

Quando Vladimir Putin ha sferrato l’attacco russo all’Ucraina, il 24 febbraio 2022, probabilmente pensava di vincere nel giro di poche settimane, con l’obiettivo nemmeno troppo segreto di attuare un cambio di regime, insediando al posto di Zelensky un governo fantoccio con cui riallacciare i rapporti politici e commerciali tra i due paesi, troncati a partire dal 2014 con la fine del governo di Viktor Janukovyc.

La guerra in Ucraina è invece ad oggi, a fine dicembre 2022, purtroppo ben lontana dal terminare, con innumerevoli morti tra la popolazione civile e la distruzione di interi quartieri residenziali come tragico risultato.

E’ un dato di fatto che se l’invio di armi da parte degli Stati occidentali – soprattutto Stati Uniti – è servito allo Stato Ucraino per resistere alla altrimenti incontenibile avanzata russa, questo sta prolungando nondimeno il conflitto, con in più lo spettro delle armi nucleari il cui uso viene minacciato a intermittenza dai pezzi grossi della Federazione Russa per far fronte all’imprevista opposizione incontrata sino a qui (tra l’altro è notizia di questo fine dicembre 2022 che gli USA manderanno in Ucraina anche i missili terra-aria Patriot, vanto dell’industria militare a stelle e strisce). Lo spettro di un conflitto nucleare in Europa tra le varie potenze, insomma, non è più soltanto una lontana minaccia ma è un’opzione che è stata messa apertamente nel novero delle possibilità.

Fin da subito nell’anarchismo internazionale si è sviluppato, sul tema della guerra, non solo un ragionamento su cosa potrà succedere nell’immediato futuro, ma anche un dibattito che ha visto il riaffiorare dell’antica contrapposizione tra il consolidato filone antimilitarista e una frangia, seppur minoritaria, apertamente “interventista” a difesa della nazione ucraina.

L’articolo che traduciamo – Fuck leftist westplaining – è stato scritto dalla polacca Zosia Brom, che vive a Londra da molti anni ed è caporedattrice del sito anarchico “Freedom News”, progetto interattivo della storica Freedom Press, ed è stato pubblicato nella sezione commenti dell’omonimo sito.

Sebbene sia datato di qualche mese (marzo 2022) abbiamo scelto di tradurlo e pubblicarlo poiché è emblematico, secondo noi in modo visibile, di quali siano state sia le ragioni che i cedimenti di alcuni settori e figure dell’anarchismo, specialmente se operanti nei paesi dell’Europa dell’Est od originari di quei territori, nell’immediatezza dell’invasione da parte delle truppe russe.
Se ci appare abbastanza condivisibile l’argomento imputato ad una parte della sinistra occidentale, ovvero quello di presentare le ragioni del conflitto in Ucraina focalizzandosi sulle responsabilità dell’occidente (ovvero l’allargamento della Nato) trascurando di fatto il ruolo di Putin e il suo desiderio di restaurare l’influenza russa nei paesi dell’ex URSS, altre cose che si sono lette negli scorsi mesi, condensate nell’articolo in questione, sono francamente – almeno per noi – indifendibili.

Ma partiamo dalle cose invece condivisibili.

Se la sinistra dell’Europa occidentale negli ultimi mesi è stata accusata di mantenere un atteggiamento “colonialista” e “privilegiato” nel parlare della guerra in Ucraina – accusa lanciata dai gruppi della sinistra ucraina che hanno deciso di entrare nelle formazioni armate contro l’invasione militare –, dobbiamo innanzitutto ammettere che una fonte di ragione c’è.
Ad essere sotto accusa è una certa tendenza, da parte della sinistra d’occidente, soprattutto di marca marxista-leninista, a interpretare tutto ciò che accade nei territori dell’ex URSS, comprese proteste e rivolte, come mera conseguenza dell’azione cospirativa degli Stati occidentali, americani in primis.

Estremizzando questa interpretazione, in questo particolare caso la sinistra radicale d’occidente ha finito per assolvere e quasi giustificare Vladimir Putin, che avrebbe invaso l’Ucraina soltanto perché costrettovi dal progressivo allargamento ad Est della Nato – finendo addirittura per prestare fede alle pretese putiniane della “de-nazificazione” (quando dovrebbe essere risaputo che sentimenti di estrema destra si ritrovano anche nel campo putiniano). Dunque, seguendo questa logica, Putin non avrebbe seguito una sua propria strategia di espansione imperialista, e così anche le precedenti imprese militari della Russia putiniana in Cecenia, Georgia e Crimea, per non dire del fiancheggiamento dei separatisti filorussi del Donbass, farebbero parte di una semplice volontà “difensiva”.

É stato giustamente evidenziato come questo modo distorto di leggere la realtà, oltre a palesare un enorme errore di fondo – ovvero la convinzione che il cosiddetto occidente sia ancora il centro del mondo in un sistema oramai multipolare –, tenda a ridurre l’importanza dei diversi attori in gioco (che siano governanti o governati) che si trovano ad operare nei territori dell’Europa orientale, non riconoscendoli come soggetti dotati di inclinazioni proprie ma considerandoli invece come pedine di uno scacchiere le cui mosse sono decise sempre e solo da altri (l’occidente), negando insomma qualsiasi capacità di iniziativa autonoma.

La sinistra dell’est Europa ha perfino coniato un neologismo per indicare questo atteggiamento: “Westplaining”, da West, cioè “ovest”, e il verbo explain, che significa “spiegare”. Cioè l’abitudine degli occidentali nel voler spiegare gli eventi che accadono altrove a chi vive in quei territori, supponendo di saperne più dei diretti interessati.

Sembra che ad emergere sia però un senso di colpa interiorizzato dagli occidentali, che nel continuare a mettere al centro del mondo l’occidente e le imprese nefande da esso compiute nei tanti anni (se non nei secoli) del suo dominio globale non riescono ad immaginare che oggigiorno possano esistere altri mali all’infuori di questo. Con un paradosso, quest’atteggiamento è stato definito “anticolonialismo colonialista”, e cioè quando dall’alto di una supposta maggiore comprensione della realtà e della geopolitica mondiale si vorrebbe spiegare alle popolazioni oppresse di un determinato paese quali devono essere i loro “veri” nemici, silenziandone e sovra-determinandone le reali aspirazioni.

É questa l’ideologia “campista” che immagina il mondo suddiviso in due campi opposti, in una riedizione della guerra fredda: uno guerrafondaio ed imperialista, guidato dagli Stati Uniti e dalla Nato, e uno fantasiosamente percepito come anti-imperialista, ovviamente composto dagli ipotetici avversari degli USA.

É insomma la vecchia favola del Bene e del Male, dove “il nemico del mio nemico è mio amico”. Una ideologia che porta a minimizzare o addirittura a negare le nefandezze di cui si rendono responsabili i “nemici” degli USA come la Russia di Putin o la Cina a capitalismo di Stato, e i paesi alleati a questi ultimi, anche quando compiono le peggiori atrocità contro la stessa loro popolazione.

Abbiamo visto all’opera questo becero atteggiamento quando le proteste e le rivolte sono scoppiate in paesi come Siria, Bielorussia, Kazakistan, Iran o in altri ancora, dove il tiranno di turno che le popolazioni contestavano – o a cui volevano fare la pelle! – non corrispondeva al nemico ufficiale della sinistra occidentale: sempre e solo gli Stati Uniti e i suoi alleati. Che per carità, certo sappiamo di cosa sono capaci, ma che purtroppo non sono gli unici malanni del mondo. Ricordiamoci della guerra civile siriana, solo per fare un esempio: già allora per qualcuno i bombardamenti della coalizione a guida statunitense erano criminali, non lo erano però quando gli stessi bombardamenti sulla popolazione siriana erano compiuti dagli aerei iraniani e russi1 o dai governativi di Assad con le bombe a grappolo e i barili bomba2. Questo esempio ci racconta di un doppio livello morale che non solo va rifiutato ma che va contestato, sempre, senza tentennamenti.

Ed ora è tempo di venire, però, agli aspetti che reputiamo più scivolosi dell’articolo di Zosia Brom, che riassume in sé alcune argomentazioni espresse da quella parte di sinistra ucraina – compresi alcuni gruppi e individualità che si richiamano almeno nominalmente all’anarchismo – per giustificare la partecipazione alla guerra nelle fila dell’esercito ucraino o nei nuclei di difesa territoriale che, di fatto, tranne forse qualche singolo caso di marginale autonomia politico-militare di cui però non siamo a conoscenza, fanno riferimento allo Stato ucraino e ad esso non possono che essere subordinati.

Intanto, cominciamo col dire che, anche se non condividiamo l’opzione “interventista” a difesa dello Stato ucraino (che, vale la pena ricordarlo, è l’aggredito e non l’aggressore, anche se di fatto opera come agente in una guerra per procura tra Cina-Russia e Usa-Nato), non vorremmo comunque ergerci a paladini di una astratta purezza ideologica di fronte invece alla cruda realtà di una guerra che, come tutte le guerre moderne, attenta alla vita dei cosiddetti “civili”, dietro il cui termine indefinito ci sono sempre persone reali che rappresentano affetti, amicizie e legami particolari. Abitando dalla parte “privilegiata” del mondo sappiamo che probabilmente non stiamo dando la giusta considerazione ad alcuni aspetti. Per esempio l’emotività riguardo al contesto, il sentimento di protezione e la naturale paura o l’istinto di sopravvivenza. Questo è davvero comprensibile, ma tutto questo non ci può e non ci deve però portare a relativizzare l’intera questione. Pensiamo infatti che la tenuta dei propri valori ideali non possa dipendere unicamente dal contesto, perché se è vero che alcune analisi e strategie possono (e dovrebbero) cambiare in funzione del mutare delle situazioni, questo non dovrebbe però accadere quando in gioco vi sono quelli che riteniamo dei principi.

Se l’opzione armata contro un esercito anch’esso armato, e che quindi mette in pericolo la propria esistenza, quella delle persone vicine e quella della totalità della popolazione civile, è non solo comprensibile ma in qualche modo necessaria, diventa però difficile giustificare l’entrata nei ranghi dell’esercito ufficiale di uno Stato in guerra, pretendendo allo stesso tempo di mantenere inalterati i propri principi anarchici. C’è differenza tra auto-difesa e apparati di difesa statali.

Per giustificare l’opzione “interventista” si cerca di motivarla tirando in ballo esempi storici come la Resistenza in Italia nel 1944-1945 e la guerra civile in Spagna del 1936, paragonandoli con la situazione ucraina odierna. Giova ricordare però, che pur in contesti totalmente diversi, sia in Italia che in Spagna le milizie partigiane erano organizzate in formazioni autonome che non facevano parte degli eserciti regolari dello Stato.

In Italia le formazioni armate partigiane che operarono al nord non combatterono a fianco dello Stato ma invece CONTRO LO STATO, cioè contro la Repubblica di Salò alleata degli occupanti nazisti, che era la diretta continuatrice della dittatura fascista che aveva dominato il paese per un ventennio. In quanto alla Monarchia italiana, il Re e la sua corte erano fuggiti al sud, lasciando allo sbando il paese, e non contavano ormai più nulla.

Anche in Spagna, almeno per quanto riguardò quelle anarchiche, le milizie agirono del tutto autonomamente e nelle loro fila non vi fu inizialmente alcuna traccia della tradizionale disciplina militare: chi vi partecipò, semplicemente, lo fece animato dalla sensazione di far parte della rivoluzione in atto e non in quanto soldato del governo repubblicano. In Spagna le organizzazioni anarchiche, assieme alla popolazione, insorsero contro il colpo di stato militare interno, attuato dai Franchisti supportati dai governi fascisti italiano e tedesco, ma allo stesso tempo in cui si lottava contro i fascisti si seppe anche dar vita ad una rivoluzione libertaria che, soprattutto nella regione della Catalogna, portò alla collettivizzazione di centinaia di fabbriche, comuni agricole, mezzi e servizi pubblici e imprese energetiche.

Sia in Italia che in Spagna – questione fondamentale! – si combatté per qualcosa di più che non la sola liberazione dagli invasori stranieri. Il sentimento nazionalista era sentimento certamente di pochi. In Italia molte formazioni armate – dai comunisti agli anarchici, dai socialisti passando per le formazioni di Giustizia e Libertà – aspiravano, ognuna a suo modo, ad una rivoluzione che liberasse il paese non solo dai nazifascisti ma anche dalle cosche economiche e dirigenziali che avevano preceduto il fascismo.

Nulla di quanto detto per l’Italia e la Spagna di allora sembra valere oggi per il contesto ucraino dove, almeno per ora, tranne alcune proteste per il razionamento dell’energia elettrica a seguito dei ripetuti blackout (mentre sedi finanziarie e politiche ucraine sono ben illuminate, a quanto pare) nessuno sembra sperare di realizzare una rivoluzione libertaria in tempi rapidi. Anzi, lo Stato ucraino sembra semmai uscirne paradossalmente rafforzato, non tanto per l’aiuto delle potenze occidentali, quanto per mezzo di quell’efficace discorso nazionalista con cui Zelensky ha saputo stringere a sé buona parte della popolazione… aiutato in questo ovviamente dalla scellerata e stupida mossa di Vladimir Putin, che è riuscito ad alienarsi la simpatia perfino della parte russofona del paese.

Ci limitiamo a far notare come non sia un caso se, sia in Spagna come in Italia, la rivoluzione libertaria – iniziata o sperata – ebbe un arresto e in seguito fallì proprio quando si costrinsero le milizie partigiane ad istituzionalizzarsi, entrando a far parte dell’esercito regolare – quello repubblicano nel caso della Spagna – o a piegarsi ad una rigida disciplina generale – come nel caso italiano, quando il CNL, seguendo le direttive degli alleati angloamericani, la impose alle varie formazioni combattenti come precondizione per continuare a ricevere vettovagliamento, armi e munizioni.

Detto questo, il punto non è evidentemente se prendere o no le armi in mano contro chi direttamente ci minaccia, ma piuttosto il modo in cui farlo e soprattutto il fine per cui farlo. Perché sebbene nei due casi esposti, il caso della Resistenza italiana e quello della rivoluzione spagnola, ci siano evidentemente aspetti non privi di contraddizioni, imposte dalle circostanze di allora – come l’essere dipendenti dalle armi fornite da altri Stati (l’Inghilterra e gli Stati Uniti nel caso della Resistenza italiana, l’Unione Sovietica nel caso della Rivoluzione spagnola) –, ci sono però alcune cose che le circostanze secondo noi non giustificano. Una di queste, per parlare del caso specifico, è il linguaggio che si decide di adoperare quando ci si addentra nelle questioni poste della guerra in Ucraina.

Mettiamola così: quando si arriva a pubblicare su di un sito anarchico, che tra l’altro ha una certa tradizione alle spalle, un articolo contenente stralci di un comunicato che deplora il non riconoscimento della sovranità di uno Stato-nazione (lo Stato Ucraino, in questo caso) da parte di determinati gruppi di sinistra (a quanto pare non basta la condanna dell’invasione in sé!) si è forse lasciata a casa la bussola. Ancora di più quando si tende a minimizzare – come si fa all’interno di un diverso articolo, tuttavia sempre pubblicato sul sito di Freedom – quella che è l’inaccettabile identificazione che l’opinione pubblica è portata a fare tra governo ed esercito russi e la totalità della popolazione russa, giustificando in questo modo i sentimenti russofobi. Per noi qui non c’entra più la naturale e comprensibile difesa da un’aggressione, ma si è già scivolati, consapevoli o meno, su di un terreno sdrucciolevole che presta il fianco a patriottismo e nazionalismi.

Nemmeno ci deve sfuggire l’indulgenza che l’articolo di Zosia Brom ha nei confronti della Nato, vista come pericolo minore rispetto all’imperialismo russo ed, anzi, percepita positivamente poiché in grado, si scrive, di farlo desistere dalle sue mira espansioniste nell’est Europa, attraverso la deterrenza militare. Questo è un argomento davvero insidioso, che usano non solo i governi dei paesi dell’Europa dell’Est per proporsi presso la Nato come nuovi membri, ma che viene adoperato dai governi dei paesi occidentali dell’Alleanza Atlantica per evitare di rendere conto della necessità della Nato stessa (e, anche, di render conto dei cospicui finanziamenti pubblici che ogni Stato aderente è tenuto a versare nelle casse dell’Alleanza Atlantica).

L’esistenza della Nato, come è ampiamente risaputo, era in origine legata alla presenza dell’Unione Sovietica e del patto di Varsavia. Implosa l’URSS nel 1991, teoricamente anche la Nato avrebbe dovuto cessare di esistere. Ma ammettiamo che la Nato, come affermano le sinistre dell’est Europa, sia davvero una garanzia di sicurezza, almeno per chi si trova a dover convivere da vicino con il gigante russo, col rischio temuto di un’invasione militare.

Quello che allora ci dobbiamo domandare è: ma davvero la Nato è un fattore di stabilità che evita lo scoppiare di nuovi conflitti nel mondo? Perché è utile ragionare in maniera globale e non limitarci a quello che succede in una parte del mondo soltanto.

É questa una domanda che potremmo porre alle popolazioni curde bombardate dall’aviazione turca, dato che la Turchia è la seconda potenza dell’Alleanza Atlantica. O lo possiamo domandare a quelle irachene o afghane, o anche a quelle dell’ex jugoslavia bombardate negli anni ‘90 del secolo scorso proprio dai paesi della Nato (tra cui l’Italia). Ma dovremmo ricordarci anche della complicità degli apparati della Nato in quella che è passata alla storia come “strategia della tensione” in Italia (Stay Behind, Gladio, stragi, ecc) ed anche dell’appoggio alle dittature militari di mezzo mondo.

Non possiamo dimenticarci di tutto questo (…e di altro) e trattare la Nato come benefattrice solo quando crediamo ciò possa tornarci utile, fosse anche contro un pericolo che percepiamo come immediato e primario. Se lo facessimo, non staremmo forse facendo esattamente ciò che rimproveriamo alla sinistra occidentale quando la accusiamo di “Westplaining”, laddove cioè impone quelli che “devono” essere i soli nemici accettabili?

Che fare, allora? Ricette prestabilite non ce ne sono, ma si può considerare cosa NON fare.
Se spesso viene scritto che il compito dei movimenti rivoluzionari, nello sviluppo di un autentico moto internazionalista, è quello di combattere l’imperialismo che si ritrovano in casa (e per i movimenti rivoluzionari d’occidente, è chiaro che non si può non considerare la Nato parte di questo imperialismo), per gli anarchici in generale la questione è chiaramente più complessa poiché debbono aggiungere a questo compito, già arduo, anche la lotta contro il proprio governo, che è sempre un elemento determinante e continuatore di autoritarismo a cui ogni individualità anarchica si oppone.

Detto ciò, è intimamente impossibile per qualsiasi anarchica o anarchico, che voglia continuare a dirsi tale, allearsi con il proprio governo. Tuttalpiù, in casi indipendenti dalla nostra volontà e temporaneamente, si possono avere interessi all’apparenza simili, ma mai alleanze. Quando nel corso della storia alcuni settori dell’anarchismo internazionale si allearono col governo – ad esempio in Spagna durante la rivoluzione quando esponenti di spicco della CNT accettarono di entrare come ministri nell’esecutivo della Generalidad di Catalogna e nel governo di Madrid –, non solo tradirono i loro ideali ma videro fallire la rivoluzione e con essa anche la guerra al fascismo. Questa è stata una tremenda lezione che ancora oggi ci deve far riflettere.

Per questo, subito dopo l’articolo di Zosia Brom, che vale la pena leggere come espressione di un certo sentimento che esiste, ne pubblichiamo un altro a mò di risposta – Identitarismo, nazionalismo e xenofobia a “Freedom” –, questa volta del Gruppo Anarco-Comunista inglese (Anarchist Communist Group), che a marzo 2022, secondo noi giustamente, prendeva parola ribadendo la tradizionale avversione anarchica per tutte le forme di nazionalismo, identitarismo e xenofobia – rispondendo allo stesso tempo anche a quel secondo articolo, pubblicato come detto sempre su Freedom, che non traduciamo ma di cui il gruppo anarco-comunista estrapola gli stralci più ambigui e fornisce il link dell’originale in inglese.

Concludiamo, infine, con un altro documento datato novembre 2022, tratto anch’esso dal sito del Gruppo Anarco-Comunista inglese, che ci informa di “almeno 200.000 russi in fuga dalla mobilitazione militare decretata da Putin” negli ultimi mesi (il che porta a più di un milione le persone espatriate dalla Russia dall’inizio del conflitto), e termina con la richiesta ai paesi confinanti di aprire le frontiere a tutti i renitenti e disertori sia russi che ucraini, questo a ribadire, se ce ne fosse il bisogno, che Putin avrà forse il consenso della parte più reazionaria della società del paese che presiede col pugno di ferro, come ci viene detto, ma che governo russo e russi non sono minimamente la stessa cosa.

Le molte persone che in Russia hanno espresso la propria contrarietà all’invasione, e per questo hanno subito la repressione statale, e anche le compagne e i compagni anarchicx detenuti nelle prigioni di Putin per le loro idee e le attività di aperta opposizione al regime, questo lo sanno anche troppo bene. Sono queste persone, quest* compagn* che ci dimostrano col loro esempio quale dovrebbe essere il nostro posto: l’internazionale di chi diserta la guerra degli Stati, l’internazionale della classe sfruttata oltre e contro ogni frontiera nazionale e identitaria.

Piccoli Fuochi Vagabondi

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Fuck leftist westplaining

tradotto da https://freedomnews.org.uk/2022/03/04/fuck-leftist-westplaining/

4 marzo 2022

All’inizio di questa settimana, il partito parlamentare polacco della sinistra progressista, Razem, ha rilasciato una dichiarazione in cui annuncia di aver tagliato i legami con due organizzazioni europee: Progressive International e DiEM25.

“L’aggressione russa in Ucraina richiede un’intensificazione di lavoro da parte nostra e – purtroppo – il chiarimento di molte questioni alla sinistra dell’Europa occidentale”, afferma Razem sui suoi social, “Ieri il nostro Consiglio nazionale ha deciso di lasciare Progressive International e DiEM25. Perché? Per ragioni a noi incomprensibili, entrambi i movimenti non hanno condannato inequivocabilmente le azioni imperialiste e aggressive della Federazione Russa e non hanno sostenuto inequivocabilmente la sovranità dell’Ucraina, relativizzando pericolosamente questa guerra”.

Condivido questa dichiarazione molto educata e formulata con cura, ma questa è Freedom, quindi permettetemi di tradurre questo messaggio di Razem in modo diverso: Andate a fanculo. O, almeno, chiudete il becco.

Questo testo non riguarda specificamente gli anarchici occidentali. Nonostante lo strano epiteto “esercito nazista dell’Ucraina” che affiora qui e là, penso che le analisi degli anarchici non siano così sbagliate sulle questioni dell’imperialismo russo: sia attualmente che storicamente. C’è sicuramente bisogno di lavorare ancora un po’ ma, soprattutto se paragonati ad altre parti della sinistra britannica e occidentale in generale, do ai miei compagni anarchici una B meno.
Ancora non sapete un cazzo dell’Europa dell’Est e l’unica parola che conoscete in quelle lingue è “kurwa”, ma almeno la maggior parte di voi non sta questionando per stabilire chi sia il cattivo nella situazione attuale.
Ora, è l’attenzione di voi patetici “tankisti”3 e altri fanatici che vogliamo avere per le prossime righe.

Questo testo non riguarda esclusivamente l’invasione russa in corso in Ucraina, ma anche una tendenza molto più ampia della sinistra occidentale. I punti sollevati di seguito possono essere applicati non solo al discorso sull’Europa orientale e sul cosiddetto mondo post-sovietico. Temi del tutto simili sono vergognosamente emersi, per esempio, nella discussione della sinistra sulla guerra siriana. Gran parte della sinistra, sostenuta dal suo glorioso leader Jeremy Corbyn, ha faticato a individuare il responsabile della stragrande maggioranza dei crimini di guerra commessi in Siria (spoiler: è stato, ovviamente, Assad sostenuto da Putin). Ma, se in passato ho partecipato ad alcune azioni di solidarietà per la Siria, non credo nemmeno che sia mio compito parlare di questo conflitto. Ci sono persone migliori per farlo, e se ne hanno voglia dico: accomodatevi pure.

Questo testo è stato scritto consultando altri compagni dell’Europa orientale. Lo firmerò con il mio nome, soprattutto perché possiate darmi la gioia dell’accusa di essere finanziata dalla CIA o qualcosa del genere, ma sappiate che molte sinistre dell’Europa dell’Est sono sulla stessa lunghezza d’onda e ne stiamo discutendo da un po’ di tempo.

Questo testo sarà un po’ caotico e perciò vi chiedo di sopportarlo. Come la maggior parte degli europei dell’Est, ho trascorso l’ultima settimana o giù di lì vivendo in una sorta di nebbia, dove i cicli di notizie durano davvero 24 ore, non si dorme e il telefono squilla in continuazione. Alcuni dei miei amici, soprattutto quelli dell’Europa centrale e orientale, vogliono condividere le loro preoccupazioni, stanno organizzando reti di sostegno, raccogliendo denaro, pubblicando guide su come fuggire dall’Ucraina in diverse lingue, cucinando, accompagnando persone spaventate ed esauste ai loro alloggi temporanei. Molti, giustamente, condividono il loro disgusto per le differenze nel modo in cui lo Stato e la società polacchi (e, più in generale, gli Stati e le società europee) affrontano un’altra “crisi dei rifugiati” poco più a nord, nella parte bielorussa del confine polacco4, o la “crisi dei rifugiati” in altre parti d’Europa. Alcuni stanno affrontando la possibilità molto concreta di trovarsi presto a combattere. Alcuni sono preoccupati per i loro familiari che si trovano attualmente in una zona di guerra, altri sono essi stessi in questa zona di guerra. Tutti sono arrabbiati. Tutti sono tristi al punto che è improbabile che possiate capire.

Mentre voi vi scambiate opinioni su Twitter, noi siamo impegnati.

Ogni giorno mi sveglio e il primo pensiero nella mia testa è: l’esercito russo sta invadendo l’Ucraina. Dopo qualche giorno di fiacca parata, sembra che ora stiano puntando seriamente su Kiev. Non avrei mai pensato di dover formulare frasi del genere oggi. È terrificante. Voi, occidentali, non lo capirete mai. In parte perché la maggior parte di voi ha un’esperienza completamente diversa della storia, ed è quella di vivere la propria vita in un Paese predominante. In parte perché non siete in grado di ascoltare, e non lo siete mai stati. Semplicemente è scomodo per voi dare peso a un’idea che non si adatti alla vostra visione già consolidata del mondo e, ammettiamolo, nel profondo la maggior parte di voi pensa che le proprie idee e i propri concetti siano migliori e più legittimi. L’“eccezionalismo” occidentale è un verme nel vostro cervello, un verme da cui fate finta di fuggire, solo per sfoggiare la vostra ignoranza yankee e da Regina d’Inghilterra. Voi siete migliori e più legittimi. Avete intuizioni migliori. Siete abituati ad essere ascoltati. Non userete Google translate, perché, terrore!,come mai le cose non sono scritte in inglese?

Ma anche gli occidentali chiamano per chiedere cosa succeda, quindi faccio del mio meglio per spiegare le cose di base con cui sono cresciuta e alcune cose che mi sono state trasmesse da generazioni di traumi. O per spiegare qual è la pronuncia corretta di Kharkiv. Altrimenti, la cosa peggiore: vogliono spiegarmi come questo sia un conflitto creato dalla NATO o, se si sentono più generosi, se ne escono con una sorta di retorica “la colpa è di entrambe le parti”. “Guardate, gli ucraini sventolano le bandiere nazionali: FASCISTI!” (…)

La vostra mancanza di conoscenza dei problemi della Russia e del resto del mondo che in passato si trovava dietro la cortina di ferro è francamente sorprendente, sorprendente è la mancanza di curiosità. A Londra e nel Regno Unito, ci sono compagni che provengono da tutti i Paesi che hanno aderito all’UE dal 2004 e, a quanto pare, non vi siete mai presi la briga di tentare di capire di cosa stiamo parlando. Eravamo buoni per alcune cose, soprattutto nella variante di sinistra della retorica mainstream del “muratore polacco” o della “donna delle pulizie lituana” (persone buone, laboriose e semplici). Eravamo buoni per cose più pratiche. Ma non siamo mai stati abbastanza bravi per avere delle opinioni, a quanto pare nemmeno sulle cose con le quali siamo cresciuti. É la versione dell’orientalismo che avete nei nostri confronti, che ci vede come sempliciotti o razzisti, primitivi ma apprezzabili – sapete esattamente cosa intendiamo, ammettetelo.

Sono arrivata nel Regno Unito nel 2004: 18 anni fa. Culturalmente è stata ed è tuttora un’esperienza molto bizzarra e forse un giorno scriverò un altro sproloquio in merito. Uno degli aspetti particolari è l’indulgenza, o semplicemente l’accettazione, dell’immaginario e dei sentimenti sovietici (sentimenti e immagini, permettetemi di sottolinearlo, che non vi appartengono). A un certo punto avete fatto di Red London, una pagina stalinista, la pagina Facebook di sinistra più popolare del Paese. Tollerate i ritratti giganti di Stalin e Mao nelle marce del giorno del Primo Maggio e, cazzo, nel 2017 avete tollerato che la bandiera di una formazione chiamata Partito Social Nazionalista Siriano venisse esibita durante la Mayday March a Londra, nonostante avesse un aspetto fascista anche senza alcuna conoscenza della Siria.

Per voi è solo uno scherzoso orpello da mettere su una tazza o su altro altro merchandising. Vaffanculo.

Voi, decenni dopo che la versione comunista dell’Europa dell’Est è crollata e la Russia si è trasformata in un regime turbocapitalista e autoritario, state ancora sostenendo che l’uomo che ne è a capo è una sorta di eroe “anti-imperialista”, nonostante stia facendo praticamente tutto il possibile per assicurare il suo obiettivo dichiarato di ricostruire l’impero russo e non solo. Allo stesso modo, nelle vostre teste, la NATO e le altre organizzazioni occidentali sono sempre dalla parte del torto, e sempre responsabili di tutto ciò che c’è di male in questo mondo. Potreste, ovviamente, cercare su Google, ma perché preoccuparsi se ci sono figure intellettuali come Noam Chomsky, con le sue vergognose posizioni relativiste, a dirvi cosa pensare.

Nelle settimane che precedettero l’invasione russa, gli occidentali contribuirono con un discreto numero di testi a Freedom e in essi cercarono di spingere questa narrazione. Li ho rifiutati tutti, perché erano disonesti e francamente boriosi. In risposta, uno di voi, che avevo pubblicato in precedenza, mi ha risposto chiedendo “dove sei stata negli ultimi 20 anni?” e “Essere polacchi non è affatto una motivazione”. Nella loro mente, infatti, “essere britannici” è sufficiente per avere opinioni forti sulle questioni che riguardano altre nazioni e i confini altrui. Come sappiamo, di solito finisce molto bene quando i britannici fanno così, no?

Quindi, lasciatemi dire alcune cose sugli europei dell’Est, sulla NATO e sulla Russia.

Noi vediamo la NATO in modo completamente diverso, e oserei dire molto più sfumato. Non ne siamo fan, e possiamo essere d’accordo con voi su molte, molte ragioni per criticarla. Ma quando dite “Fanculo la NATO” o “Stop all’espansione della NATO”, quel che capisco è che non vi interessa la sicurezza e il benessere dei miei amici, familiari e compagni dell’Europa orientale. Siete felici di mettere mia mamma a repentaglio per questioni politiche a buon mercato e su cui non sareste nemmeno in grado di intervenire, bastardi!

Quando si parla di “espansione”, con tutto ciò che questa parola implica, in realtà, ci si riferisce a quel processo in cui l’Europa orientale, a causa di altri paesi che hanno preso decisioni sopra le nostre teste nel 1945, ha letteralmente girato in punta di piedi intorno alla Russia chiedendo di permetterci di fare ciò che volevamo fare. Alla fine, questo ha portato alla firma da parte della Russia di un documento chiamato Atto fondativo sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza tra la NATO e la Federazione Russa. Questo avvenne nel maggio del 1997 e la Russia, infine, acconsentì a quella che oggi chiamate “espansione”, a patto che venissero soddisfatte alcune condizioni. Queste condizioni ci rendevano di fatto membri di seconda classe della NATO, ma era tutto quello che potevamo ottenere e così abbiamo accettato. La Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria sono entrate nella NATO nel 1999, i Paesi baltici nel 2004. E per ora voglio che ci rimangano, e non ha molto a che fare con la politica, a dire il vero. È un istinto di autoconservazione, ma questa è un’altra cosa che voi non capite. Parlate più di “espansione della NATO” che del fatto che siete i membri finanziatori della stessa.

Inoltre, parlate del desiderio di fermare “l’espansione della NATO”, ma non menzionate cosa, esattamente, potrebbe rappresentare una valida alternativa a questa. Questo non è per nulla accettabile, ma dimostra solo il vostro privilegio di essere cresciuti in un Paese in cui la storia della vostra vita non è stata costellata da capricci e aggressioni di varia portata di questa grande, imprevedibile forza che presume di potersi muovere ovunque non ci sia la NATO. Allora ditemi, come farete esattamente a garantire la nostra sicurezza? Qual è l’alternativa alla NATO che sostenete? Avete pensato di chiederci cosa ne pensiamo? O avete semplicemente deciso, come già avete fatto innumerevoli volte in passato, con tutti quei paesi verso i quali nutrivate un senso di superiorità, che sarete voi e i vostri leader a dare le carte, e con quelle noi dovremo giocare? Avete per caso già pronto il vostro righello per cominciare a tracciare delle belle linee dritte sulle mappe? Solo che, questa volta, la mappa su cui traccerete quelle linee sarà del posto in cui sono cresciuta io?

E questo va al di là del personale e del politico – ciò che fa più incazzare è che le persone che fanno Westplaining sono assolutamente le stesse che si lamentano su Twitter riguardo a Trump, ma che non alzano un dito per farlo piangere davvero!

Non siete dei combattenti, siete dei codardi! E quando si è codardi, l’unico rispetto per se stessi che si può avere è una qualche supposta virtù morale, o superiorità. Può farvi guadagnare seguaci, ma costa vite, costa fede, costa disorientamento politico, riproduce docilità. L’antifascismo è proteggere le persone da individui con un potere organizzato. In questo momento questo potere è Putin. Se state proteggendo la sua egemonia sul suo vasto e crescente impero siete parte dell’aggressore. Quindi prendete un’arma, o organizzate una raccolta fondi, o date il benvenuto a un rifugiato, ma soprattutto, a questo punto, chiudete quella cazzo di bocca. Disconnettetevi, toccate l’erba, lasciate questa guerra a persone che sanno davvero per cosa stanno combattendo. State combattendo per i like – è umiliante – per la sinistra in generale, e per le generazioni future che saranno demoralizzate piuttosto che ispirate a combattere per un mondo senza dittatori. Sì, certo, i vostri leader sono alcuni di loro, quindi abbiate cura di abbatterli. Però ci fidiamo poco dei leader che mettereste al loro posto. Questo è il basso livello della fiducia in voi. Guardatevi allo specchio, distruggete il poliziotto “eccezionalista” imperialista che avete dentro la testa. Buona fortuna.

O, per lo meno, imparate a pronunciare correttamente i nostri nomi.

Zosia Brom, redattore di Freedom News

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Identitarismo, nazionalismo e xenofobia a “Freedom”.

Tradotto da https://www.anarchistcommunism.org/2022/03/07/identity-nationalism-and-xenophobia-at-freedom/

7 marzo 2022

Non possiamo lasciare senza commento i recenti articoli su Freedom. Il primo pezzo, “Fuck Leftist Westplaining” della redattrice di Freedom News, Zosia Brom (4 marzo), conteneva molte cose con cui eravamo politicamente e intellettualmente in disaccordo. Pur avendo tutta la nostra comprensione per il punto di vista emotivo da cui proveniva l’articolo, sfortunatamente ogni punto che doveva essere affrontato è stato annegato perché era stato troppo pesantemente inquadrato nella politica dell’identità.

Tuttavia, quando a questo si è aggiunto l’effettivo nazionalismo e la xenofobia dell’articolo “Mille bandiere rosse” [A Thousand Red Flags] di Darya Rustamova (pubblicato su Freedom News il 7 marzo, qui il link: https://freedomnews.org.uk/2022/03/07/a-thousand-red-flags/), non è stato più possibile stendere un velo di cortesia sulla questione.

Da tempo avevamo avvertito che il pericolo della politica identitaria era quello di condurre gli incauti nel territorio della destra. E ora ne abbiamo la prova nella sezione commenti di Freedom.

L’ACG [l’inglese Anarchist Communist Group] ha condannato Putin e la sua invasione dell’Ucraina. Lo abbiamo fatto da una prospettiva di classe. Freedom, invece, ha pubblicato il sentimento che “è davvero comprensibile che molte persone odino la Russia, i russi e tutto ciò che ha a che fare con la Russia, e che abbiano sempre più forza”. Ripetiamo: più forza alle persone che odiano i russi. È impensabile che Freedom pubblichi questo sentimento.

L’articolo proclama che “non è anti-sinistra essere russofobi”. Non sappiamo se sia antisinistra, ma è xenofobo e non è anarchico. Come lo è sostenere che “il nazionalismo o il patriottismo (o comunque ci sentiamo più a nostro agio nel definirlo in inglese) può essere importante e responsabilizzante per le persone che sono sotto la minaccia dell’invasione imperialista”.

Non possiamo concordare sul fatto che il nazionalismo sia “importante” in queste o in altre circostanze. Il nazionalismo non è necessario né auspicabile per condannare l’invasione, per opporsi all’invasione o per sostenere coloro che soffrono a causa dell’invasione. Non è una parte auspicabile della solidarietà verso i cittadini ucraini, né una condizione auspicabile per la loro autodifesa.

La posizione degli anarchici in queste circostanze è sempre stata quella di enfatizzare, promuovere e sostenere l’autoliberazione della classe lavoratrice. Il fatto che ora Freedom promuova attivamente il nazionalismo, la xenofobia e l’odio verso una nazionalità a causa delle azioni del suo governo è incredibile, inaccettabile e speriamo sia un’aberrazione passeggera in un momento di stress.

Postscriptum:

Dopo la pubblicazione di questo articolo, il sito Freedom ha modificato l’articolo “Thousand Red Flags” eliminando i punti con cui più eravamo in disaccordo. Quindi, per continuità, ecco gli estratti rilevanti dell’originale:

“Non possiamo pensare di applicare la stessa logica quando Ucraina e Regno Unito non sono paragonabili. Mentre quest’ultimo è letteralmente una forza imperialista, il nazionalismo o il patriottismo (o comunque ci sentiamo più a nostro agio nel definirlo in inglese) possono essere importanti e responsabilizzanti per le persone che sono sotto la minaccia dell’invasione imperialista. In tutto il mondo, le lotte per la cittadinanza, l’autonomia e l’autodeterminazione si affiancano all’affermazione di determinate bandiere, lingue, religioni e culture. Non è la stessa cosa dei gruppi di estrema destra e neonazisti che lo fanno in nome di un paese come l’Inghilterra. Il fascismo colpisce verso il basso, la resistenza non è la stessa cosa. Dall’Ucraina alla Scozia, dal Sahara occidentale alla Palestina e al Tatarstan, siamo al fianco dei popoli che resistono all’imperialismo”.

“Le accuse in malafede di russofobia stanno corrompendo la nostra capacità di criticare adeguatamente quanto sia inutile vietare arbitrariamente tutto ciò che è russo. Capisco che i russi siano spesso connessi alle azioni del loro Stato e questo ha un senso: i russi hanno notoriamente svolto un ruolo importante nella formazione e nella distruzione di governi. I russi e le cose russe sono spesso viste come questioni politiche anche quando non lo sono. Tutto viene fatto passare attraverso un prisma ideologico e utilizzato per infinite manipolazioni dello spettro politico. Sebbene sia davvero comprensibile che molte persone odino la Russia, i russi e tutto ciò che ha a che fare con la Russia, e che abbiano sempre più forza, parte della narrazione che Putin sta dando ai russi è che lui è l’unica persona dalla loro parte. “Siamo noi contro di loro”. Dice: il resto del mondo ci odia, guardate come ci trattano. Dice che gli ucraini sono russofobi (immaginate). Il nazionalismo isolazionista ed eccezionale che Putin ha accuratamente alimentato ed armato diventerà più efficace solo se il resto del mondo volterà le spalle al popolo russo”.

“Inoltre non è anti-sinistra essere russofobi, ma anche togliere le band russe dalle line-up dei festival non aiuterà nessuno”.

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Open the borders to war resisters!

Tradotta da https://www.anarchistcommunism.org/2022/11/07/open-the-borders-to-war-resisters/

7 novombre 2022

Con almeno 200.000 russi in fuga dalla mobilitazione militare decretata da Putin, è imperativo aprire loro le frontiere. Putin ha subito pressioni dalla destra nazionalista all’interno della Federazione Russa per indire una mobilitazione parziale a seguito delle numerose battute d’arresto delle forze russe d’invasione in Ucraina. Questa destra nazionalista ha criticato apertamente la conduzione della guerra da parte di Putin, che deve manovrare per assicurarsi di non essere rovesciato e sostituito da una figura ancora più bellicosa.

I disertori e i renitenti alla leva rischiano di essere perseguiti penalmente se scoperti, soprattutto se tentano di fuggire dal Paese.

Come ha osservato l’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza (EBCO), “date il diritto di asilo a coloro che rifiutano di farsi arruolare per la guerra in Ucraina o in Russia”, riferendosi anche agli ucraini che hanno rifiutato la guerra.

L’Unione degli obiettori di coscienza ha chiesto alla Finlandia di lasciar passare tutti gli obiettori di coscienza e i disertori dell’esercito, messi in pericolo dal loro rifiuto di partecipare alla guerra in Ucraina, e di accordare loro la protezione internazionale, affermando che si tratta di un modo concreto e umano di sostenere i cittadini russi che si oppongono alla politica guerrafondaia del loro Paese. E continuava: “Naturalmente, anche gli ucraini che fuggono dalla guerra devono beneficiare di una protezione e di un diritto di asilo all’estero… Diverse reti libertarie e associazioni pacifiste russe (Madri dei soldati, Casa della pace e della non violenza, Federazione internazionale per la pace e la riconciliazione – gruppo di Mosca, Memorial ecc.) hanno segnalato che più di 13.000 pacifisti sono già stati arrestati in Russia”.

Mentre la Germania ha aperto le frontiere a questi rifugiati di guerra, la Polonia e la Repubblica Ceca non hanno fatto altrettanto. I russi in fuga dalla guerra si sono recati principalmente nei Paesi limitrofi accessibili senza visto, ma si tratta comunque di una situazione precaria e pericolosa. In un caso, 23 russi sono fuggiti dai porti del Pacifico settentrionale nell’estremo oriente della Russia verso la Corea del Sud per evitare il richiamo. Tuttavia, a 21 di loro è stato rifiutato il visto turistico.

Tutti i Paesi che possono offrire asilo in Europa e in Asia dovrebbero fare pressione per accogliere i russi contrari alla guerra. Allo stesso modo, il presidente ucraino Zelensky ha decretato una mobilitazione generale e il diritto di asilo dovrebbe includere tutti gli ucraini che si rifiutano di combattere in guerra.

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NOTE DI PICCOLI FUOCHI VAGABONDI:

  1. La Federazione Russa sostenne il regime del presidente Bashar Al-Assad, alleato di lungo corso in medio-oriente, durante le proteste popolari ostili al suo governo nel solco delle “primavere arabe” e nella successiva guerra civile siriana scoppiata a partire dal 2011, inizialmente con aiuti militari di tipo indiretti e dal settembre 2015 anche con la partecipazione diretta vera e propria. Nel corso del conflitto, in un paese lacerato anche per intervento delle potenze straniere (Usa, Turchia, Iran, Russia, Israele, Arabia Saudita…), gli arei russi e iraniani bombardarono non solo le formazioni islamiste legate all’ISIS e gli oppositori a vario titolo del governo di Assad ma anche villaggi e strutture civili causando centinaia di vittime tra la popolazione.
    Tra il settembre 2015 e il settembre 2018 le forze armate della Federazione Russa colpirono in Siria almeno 1418 obiettivi civili tra palazzi residenziali, ospedali, scuole, ecc   (Fonte: https://syrianarchive.org/en/datasets/russian-airstrikes/).
    Oltre a ciò, la Russia fornì anche armi alla Turchia di Erdogan, seppur quest’ultimo fosse notoriamente ostile al regime di Assad; armi che immancabilmente Erdogan usò poi contro le formazioni democratiche curde della regione del Rojava. La guerra civile e le conseguenze dei bombardamenti, le violenze delle formazioni islamiste ma anche la repressione da parte dello stesso governo di Assad alleato della Russia, costrinsero milioni di siriani a fuggire e a diventare rifugiati in altri paesi, principalmente Libano, Turchia, Iraq e Giordania.
  2. É noto che la Siria non ha mai sottoscritto la convenzione internazionale sulle bombe a grappolo e per questo ha continuato ad usarle. I barili bomba invece sono barili o taniche riempiti con esplosivo, ferraglia e frammenti metallici che gli elicotteri siriani sganciarono durante la guerra civile sui quartieri residenziali delle città in mano ai diversi gruppi ribelli, soprattutto della città di Aleppo, con effetti micidiali sui civili.
    Le vittime civili del regime di Assad si stimano tra le 100.000 e le 200.000. Quelle dell’ISIS in circa 5.000.
    Gli attacchi aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno provocato 2.676 uccisioni di civili. Gli attacchi dell’aviazione russa tra i 6.000 e i 9.000 civili uccisi (Fonte: https://en.wikipedia.org/wiki/Casualties_of_the_Syrian_civil_war#Foreign_air-strike_casualties )
  3. Nell’originale “tankies”, fan dei carrarmati
  4. Nell’agosto 2021, ed anche in seguito, parecchie persone provenienti dall’Afghanistan in cerca di asilo nell’UE si trovarono di fatto imprigionate al confine tra Polonia e Bielorussia e lasciate lì senza cibo, riparo o assistenza medica per settimane, vittime di un battibecco diplomatico tra il regime dittatoriale del Presidente bielorusso Alexander Lukashenko e l’Unione europea. Il governo bielorusso, trasportando queste persone al confine con la Polonia, usò la “questione profughi” come arma di ricatto nei confronti della UE. Lo Stato polacco, da parte sua, nel respingere le persone che tentavano di attraversare il confine, spesso usò mezzi violenti. Queste scene si ripeterono per mesi ed ancora oggi la questione non è certo risolta.