CHE NON ESISTONO POTERI BUONI. Alfredo condannato a morte dallo Stato.

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Venerdì 24 febbraio 2023 c’è stata la decisione della Cassazione: Alfredo Cospito deve rimanere al 41 bis. E deve pagare, come beffa, le spese processuali. In questo modo, rigettando l’istanza di revoca presentata dal suo avvocato, i cinque giudici della Corte di Cassazione hanno condannato Alfredo alla pena di morte, dato che quella della Cassazione era l’ultima possibilità legale di vedere l’annullamento del 41 bis e che il compagno è deciso a proseguire la sua lotta, incominciata il 20 di ottobre con uno sciopero della fame ad oltranza, che ormai dura da oltre quattro mesi, arrivando a perdere circa 50 kg.

Una conclusione che, fatta passare come tecnica e giuridica, è invece eminentemente politica; pronunciata addirittura contro i pareri della direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, della Dda di Torino e contro le evidenze stesse del procuratore generale della Cassazione, Piero Gaeta, rappresentante l’accusa, i quali avevano rilevato come non ci fossero elementi per dimostrare un collegamento tra Alfredo e le azioni degli anarchici, in Italia e all’estero, o un suo fantomatico ruolo di “capo”. Quindi nessun presupposto ci sarebbe per continuare nell’applicazione del regime speciale. In quanto alle azioni solidali cosiddette “violente” è evidente che, se orientamento c’è stato, questo è semmai stato prodotto dall’atteggiamento sprezzante degli apparati istituzionali, che prima hanno cercato di silenziare la lotta di Alfredo e poi hanno mostrato la loro volontà omicida anche con quest’ultima decisione.

I giudici della Cassazione non hanno accolto la richiesta della procura generale che, nella requisitoria scritta, aveva chiesto di annullare con rinvio per un nuovo esame l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma del 1 dicembre 2022, che aveva confermato il 41bis per Alfredo.

I giudici della Cassazione si sono così uniformati (piegati?) al volere del governo, e in primo luogo al ministro della giustizia, Carlo Nordio, che nel rigettare l’istanza di annullamento presentatagli a suo tempo dall’avvocato del compagno, aveva chiarito che il potere statale non avrebbe fatto un solo passo indietro e che non ci sarebbero stati spiragli per una soluzione diversa da quella poi verificatasi.

È Nordio che, durante le audizioni in Parlamento e le interviste davanti alla stampa per spiegare il suo rigetto alla revoca del 41 bis, ribadiva come ritenesse lo sciopero della fame di Alfredo “violento” di per sè, una sfida lanciata allo Stato da un corpo “usato come arma”, che le istituzioni non potevano accettare Nel provvedimento di Nordio si può leggere: “Alfredo Cospito ha iniziato lo sciopero della fame, forma di protesta tradizionalmente non violenta che invece, nel caso di specie ha assunto un significato assolutamente opposto. La dimostrazione la si trae da una frase pronunciata da Cospito: il corpo è la mia arma. Il corpo di Alfredo Cospito è divenuto il catalizzatore che serviva all’azione strategica del detenuto che chiedeva unità di intenti e obiettivi pur lasciando a ciascuna formazione la libertà di autodeterminazione in relazione alla tipologia di atti da compiere. Le vicende che si sono verificate e registrate dimostrano che lo scopo è stato raggiunto. Ciò rappresenta una ulteriore dimostrazione non solo della estrema pericolosità di Alfredo Cospito ma anche della persistente, e anzi aumentata, possibilità che egli mantenga contatti con una vasta area di gruppi collegati alla ideologia anarco insurrezionalista”1).

Insomma, per evitare la prosecuzione dei contatti con il movimento anarchico, è necessario che egli muoia, tumulato al 41 bis. Del resto, è sempre Nordio, parlando alle Camere penali a febbraio, a sostenere che gli imputati con cui usare clemenza sono semmai i potenti: non il solo diseredato, il povero e l’emarginato, ma soprattutto i ricchi e i potenti (…) perché hanno molto da perdere2).
Un invito per i giudici ad usare un occhio di riguardo verso la classe a cui lui stesso appartiene, al contrario del trattamento disumano destinato ai membri delle classi cenciose. Eccolo il suo famoso garantismo, spiegato in una frase.

Cosi l’avvocato Flavio Rossi Albertini, difensore di Alfredo, dopo la decisione della Cassazione:leggendo i pareri favorevoli della Dna, Dda, Dap inviati al Ministro avevamo capito che la decisione ministeriale fosse stata politica e non giuridica. Dopo la lettura della requisitoria del pg Gaeta pensavamo che il diritto potesse tornare ad illuminare questa buia vicenda. La decisione di questa sera dimostra che ci sbagliavamo’. È una condanna a morte”3).

Persino un reazionario come il giornalista Vittorio Feltri si è dovuto stupire del trattamento riservato ad Alfredo: “Il mafioso Brusca che ha il record mondiale di ammazzamenti, è uscito un po’ dal carcere, mentre Cospito che non ha ucciso nessuno rimane al 41 bis. E la chiamano giustizia”4).

Che non esistono poteri buoni, ne abbiamo avuto la certezza anche in questa occasione. Non ci si poteva attendere nessun gesto di clemenza o di umanità da parte di questi boia, e così è stato. Una soluzione diversa, per lo Stato, avrebbe aperto la porta alla richiesta di revisione totale dell’intero regime del 41 bis, dopo che la lotta di Alfredo ne è riuscita a scalfire l’inattaccabilità. Dopo la sentenza, questo regime abbietto di annientamento fisico-psichico trova confermata la sua nuova funzione contro il movimento anarchico, e potrà diventare un utile strumento della guerra contro la dissidenza interna, senza l’onere della prova di collegamenti associativi ma solamente sulla base dell’orientamento politico del prigioniero.

Sempre per dare un segnale di “fermezza”, il 27 febbraio, inoltre, Alfredo è stato trasferito dal reparto di medicina penitenziaria dell’ospedale San Paolo di Milano, dove era ricoverato da alcuni giorni a seguito dell’aggravarsi del suo stato di salute, di nuovo al carcere di Opera, al Servizio di Assistenza Intensificata – SAI, senza più la macchinetta che monitorava il cuore costantemente.

Un altro messaggio, dopo la sentenza di Cassazione, che suona più o meno così: della sua vita non ci importa nulla, se muore nemmeno. Anche perché, nel frattempo, Alfredo ha deciso di sospendere – di nuovo – anche l’assunzione degli integratori e potassio, che aveva ricominciato ad assumere dopo il parere favorevole del pg della Suprema Corte, Pietro Gaeta, alla revoca del 41bis. Ad oggi, dunque, Alfredo assume solo sale ed acqua.

Decisioni, quelle delle istituzioni, che fanno stringere i pugni fino a farli sanguinare, tanta è la rabbia, e che fanno crescere, in maniera secondo noi premeditata, la tensione in vista dell’esito possibile dello sciopero della fame, ovvero la verosimile morte del compagno anarchico (lui stesso ne è consapevole, e dopo l’ultima sentenza si è detto sicuro che presto morirà: “spero che qualcuno dopo di me continuerà la lotta”, aveva detto ai sanitari dell’ospedale San Paolo).

La rabbia. Ecco. La rabbia legittima, giustificata, necessaria. La rabbia per un compagno che sta morendo tra le mani del nemico. Che si è espressa generosamente con cortei, interventi, scritte, blocchi ed anche azioni solidali. Una rabbia che però si presta anche ad essere depotenziata, quando il potere riesce, attraverso i suoi mille espedienti, a ritorcerla contro i nostri amici e compagni.

Come di certo possiamo cogliere, è in atto un tentativo di strumentalizzare le azioni solidali nei confronti di Alfredo, per agitare lo spauracchio del “pericolo anarchico” di fronte all’opinione pubblica, e giustificare così la più che probabile introduzione di nuove leggi repressive, che aspettano solo qualche pretesto per essere ratificate.

Stiamo parlando di quello che è stato chiamato, da alcuni politici e giornali vicini ai partiti di governo, reato di “terrorismo di piazza” e che ha cominciato a farsi strada nel discorso pubblico a partire dal corteo solidale di Milano del 12 febbraio, con scontri ed una dozzina di compagni fermati e denunciati. Reato richiesto da vari sindacati di polizia (ad esempio il Fsp5)), che dopo la manifestazione parlarono nientemeno che di un “bollettino di guerra” con 6 poliziotti contusi, evidentemente non sapendo bene cosa siano le guerre, quelle vere.

Il deputato milanese di Fratelli d’Italia, il fascista Riccardo De Corato, si è detto disponibile a raccogliere gli appelli dei sindacati di polizia e a presentare un’apposita legge in parlamento, per l’introduzione di due nuove fattispecie di reato: gli articoli 613 quater e quinquies che prevedano l’inasprimento delle pene per “chiunque provochi incidenti nelle manifestazioni ed anche la punibilità di chi istiga alla violenza” e “che consentano l’arresto in differita, quando non sia possibile procedere in flagranza, anche grazie alla prova video o fotografica”6).

Un chiodo fisso, quello del reato di “terrorismo di piazza”. L’aveva infatti già proposto nel 2018 Maria Cristina Caretta, deputata di Fratelli d’Italia, durante l’esecutivo giallo-verde del primo governo Conte, dopo l’inspiegabile sentenza di assoluzione per tenuità del fatto di un manifestante antagonista, colpevole di aver sputato a un agente”7).

Volere equiparare un corteo arrabbiato, che non si limiti alle solite sfilate inconcludenti, o addirittura uno sputo ad un poliziotto ad un atto di terrorismo, dimostra come siano reali i tentativi di restaurare forme particolarmente autoritarie di gestione del conflitto sociale da parte della compagine di governo.

Le stesse parole di De Corato mostrano che l’allargamento all’intero spettro del dissenso è una cosa del tutto presente nel linguaggio e nei propositi degli esponenti che compongono la maggioranza governativa: “questa proposta di legge tenderà a contrastare, come chiedono le stesse Forze dell’Ordine, con fermezza adeguata, proteste come quelle di ieri sera tese a produrre danni reali agli uomini e alle donne delle FF.OO. che diventano una vera e propria forma di terrorismo, come nel caso di Milano con il ferimento di un agente per ustioni dovute allo scoppio di una bomba carta, oltre al danneggiamento di esercizi commerciali, auto incendiate e violenze di vario genere da parte di questi teppisti anarchici, supportati da antagonisti, no-global, centri sociali e in generale da tutta la Sinistra milanese e italiana”8).

Insomma, l’ipotesi allo studio è quella di aumentare, con una fattispecie generica, la punibilità per le azioni commesse durante manifestazioni e cortei. Sarebbe l’ennesima volta, dopo l’inasprimento già operato dai precedenti pacchetti sicurezza di Minniti e Salvini.

Le/i solidali di fronte alla Corte di Cassazione di Roma, appena appreso il verdetto, hanno espresso a gran voce quello che tutte le compagne e i compagni in Italia, e non solo, sentono: “che fossero dei venduti e dei servi lo abbiamo sempre saputo. Da oggi, ufficialmente, sono degli assassini. Lo hanno condannato a morte. Saranno responsabili di tutto quello che succederà”.

Oggi gli apparati dello Stato, il governo, sembrano disponibili ad assumersi questa responsabilità, e allo stesso tempo ad impiegare la collera da essi causata a proprio profitto, in primo luogo sperando di chiudere la partita con gli anarchici. L’intelligenza sovversiva deve muoversi in modo tale che le forze reazionarie che si stanno agitando, pronte ad approfittare della situazione, non sortiscano i risultati sperati. Malgrado quel che credono queste forze reazionarie, attizzare il fuoco per provocare un incendio può anche ritorcerglisi contro.

  PFVhttps://piccolifuochivagabondi.noblogs.ors

28 febbraio 2023

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