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Negli ultimi mesi, in Francia, il governo ultraliberista del presidente Emmanuel Macron e del primo ministro Elisabeth Borne, ha emanato una serie di disegni legge estremamente anti-popolari, attaccando tra l’altro le occupazioni di case con la previsione di nuove pesanti pene e progettando un disegno di legge per l’aumento dell’età pensionabile, da 62 a 64 anni, con in più l’ostacolo che per ricevere il massimo della pensione si dovrà dimostrare almeno 43 anni di lavoro retribuito, oltre ad intaccare anche l’assicurazione contro la disoccupazione.
Contro il progetto di riforma delle pensioni, a cominciare dal 19 gennaio 2023, ci sono state grosse manifestazioni di piazza a Parigi e in tutta la Francia (si stima che abbiano partecipato alla prima giornata quasi due milioni di persone) con scioperi ad oltranza, presto fuse al malcontento sociale dovuto al peggioramento della vita prodotto negli anni dal governo Macron, con in mezzo le misure intraprese nel periodo della pandemia. Lo slogan è “fermare la Francia” con scioperi in tutti i settori. Nelle città sono state dispiegati dal governo circa 11.000 poliziotti e gendarmi.
Una tale mobilitazione sociale, a quanto si dice, non si vedeva in Francia da quasi trent’anni. Mobilitazione che si è poi ripetuta in altre giornate di lotta e con cortei molto partecipati, con centinaia di migliaia di persone, in parte anche conflittuali e che ad oggi – a metà febbraio 2023 – non sembra doversi spegnere, a meno che i sindacati concertativi che per ora convocano e dirigono i grossi cortei non ci mettano del loro per pompierare il tutto.
Mobilitazioni ampie e spesso radicali quelle francesi, che oltre alle sfilate hanno visto, a latere, scontri con la polizia antisommossa e attacchi ai simboli del capitalismo, per esempio le banche; una protesta che, pur nella sua composita partecipazione, dai lavoratori pubblici (ferrotranvieri, insegnanti, pompieri) agli studenti – i quali spesso tentano di trascendere i limiti imposti dalla mobilitazione sindacale –, non sembra orientato ad usare gentilezze di fronte al nemico di classe, come del resto carezze non usa nemmeno il regime economico capitalista e lo Stato nei riguardi di quella che è la classe sfruttata. Anche se questi cortei non sembrano essere riusciti a turbare il potere politico ed economico francese, come emerge anche da alcune analisi di cui forniamo la traduzione più sotto, in alcuni settori – energia, porti, trasporto ferroviario per esempio – si comincia a parlare di scioperi a intermittenza e rinnovabili, il che lascia sperare in una loro generalizzazione.
Il ripetersi di queste mobilitazioni su larga scala rimane dunque molto probabile. Ma, è stato evidenziato molto bene, probabile è anche che queste proteste non vengano ascoltate, se non in modo marginale, dallo Stato francese. Con il risultato che lo scontro si potrebbe anche fare più duro e sfuggire agli argini della mediazione sindacale, come si augurano alcuni settori del movimento francese, studenti in testa, con una propria lettura degli eventi.
Vedremo. Intanto anche in Spagna, nel mese di febbraio, centinaia di migliaia di persone e medici di base sono scese in piazza a Madrid1, in questo caso contro i tagli alla sanità pubblica del governo regionale, particolarmente pesanti nelle zone rurali, e contro la governatrice della regione autonoma, Isabel Diaz Ayuso del Partito Popolare, considerata la principale responsabile del provvedimento2. Occorre dire che Madrid è la comunità autonoma con la più bassa spesa pro capite per le cure primarie. Negli ultimi mesi vi erano state altre proteste, non solo nella capitale spagnola, dove i medici di base sono in sciopero da settimane, ma anche in altre città, dove si sono unite altre categorie, come i docenti. Anche interi ospedali sono scesi in sciopero, mentre il 18 febbraio ci sono stati scontri con la polizia, cariche e feriti tra i lavoratori nell’aeroporto di Barajas, per uno sciopero con conseguente blocco alla compagnia di volo Iberia3.
Ma Francia e Spagna non sono casi limitati. Nel Regno Unito, dove la normativa sugli scioperi è già tra le più stringenti in Europa occidentale, e dove gli scioperi generali risultano quasi impossibili in un quadro di legalità dopo il varo di leggi che prevede l’obbligatorietà di avere una certa percentuale di iscritti, limiti alla durata dell’agitazione nel settore industriale – e non solo nei servizi essenziali – e restrizioni sui picchetti, si sta registrando comunque una serie di scioperi contro carovita, politiche antisciopero (ovvero il disegno di legge del governo sul livello minimo di servizio lavorativo – che il governo intende estendere – da rispettare durante gli scioperi per i dipendenti pubblici, pena il licenziamento4) e per ottenere l’innalzamento degli stipendi che sono sempre più bassi rispetto al costo della vita. Specialmente nel comparto pubblico, contro il governo della Gran Bretagna del conservatore Rishi Sunak, in carica dallo scorso ottobre 2022 dopo i 44 giorni del precedente governo di Liz Truss, e contro il partito dei Tory, segnalato come colpevole della recessione economica in cui è caduto il paese. Sembra infatti che il Regno Unito sarà l’unico paese del G7 ad avere una crescita del PIL negativa nel 2023. Ad inizio febbraio, dopo che a dicembre in pieno periodo natalizio vi erano state altre grossi scioperi (che avevano portato il governo a mobilitare i soldati nel ruolo di “crumiri”), queste proteste hanno visto in piazza mezzo milione di persone, ed hanno interessato diverse categorie: dalle insegnanti (circa il 90% di scuole chiuse!) ai macchinisti di treni, autobus e metropolitane, dai vigili del fuoco agli operatori della sanità pubblica (in costante affanno con liste di attesa record), fino al personale delle dogane e degli aeroporti. Proteste, in cui va registrata – con piacere! – l’assenza pressoché totale dei partito laburista, che hanno paralizzato, purtroppo temporaneamente, settori chiave per la vita del capitalismo, e che il governo inglese tenta di arginare invitando paternalisticamente alla ripresa del lavoro e pensando all’introduzione di nuove leggi per limitare il diritto allo sciopero.
Inoltre, sempre in Gran Bretagna, gli affitti stanno salendo alle stelle, con prezzi gonfiati e rincari addirittura del 50%, con gli inquilini che soffrono e spesso sono buttati fuori da casa, mentre i profitti dei proprietari e degli speculatori immobiliari crescono sempre di più. In risposta anche a questo enorme problema, a gennaio centinaia di affittuari sono scesi in strada a Londra, e davanti agli uffici delle agenzie immobiliari, chiedendo il blocco degli affitti5.
Anche se, è evidente, anche in questi paesi manca ancora il controllo dal basso esercitato con comitati di sciopero e di quartiere, e le lotte spesso finiscono per essere delegate ai sindacati con più iscritti, dobbiamo comunque purtroppo notare come, in Italia, questo genere di mobilitazioni – contro il carovita, contro il taglio ai servizi – non ha mai avuto, in tempi recenti, piacevole emulazione, nemmeno quando in analoghe situazioni si è avuto l’aumento dell’età pensionabile, da parte di governi di destra, di sinistra e “tecnici” (in Italia, dopo il varo di diverse riforme, la pensione di vecchiaia è oggi prevista a 67 anni di età anagrafica e almeno 20 anni di contributi versati) o alla scomparsa dei residui margini di decenza all’interno del mondo del lavoro, pensiamo solo alla riforma Renzi-Poletti (Jobs act) con l’abolizione dell’art.18 che ha reso più semplice per i padroni licenziare i propri dipendenti. Quando proteste limitate e contenute si sono prodotte in Italia, sono state presto indirizzate dai sindacati confederali, conniventi col padronato, nelle sacche del compromesso, o sono state direttamente svendute. In questo modo tutte le infamie statali e padronali sono passate per lo più senza risposta.
Di seguito forniamo la traduzione di alcuni scritti di gruppi anarchici francesi, e non solo (tre scritti, di cui non condividiamo esattamente tutto, ma che forniscono materia di analisi, sono tratti dalla rivista Lundi Matin, che ha orientamento marxista ed autonomo), che ci forniscono un quadro sulle mobilitazioni che stanno avvenendo in Francia contro il disegno di legge sulle pensioni, e che allo stesso tempo non lesinano nemmeno critiche alle modalità di svolgimento delle stesse, con riferimento alla qualità delle proteste e con spunti di lotta a venire.
Augurandoci che prima o poi anche da noi la collera della classe sfruttata possa trovare stimoli per emergere dal torpore, facendo a meno dei pompieri sindacali da sempre compromessi coi padroni.
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PFV ● https://piccolifuochivagabondi.noblogs.org
febbraio 2023
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NOTE ALL’INTRODUZIONE
1 https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/12/spagna-in-250mila-a-madrid-per-protestare-contro-i-tagli-alla-sanita-pubblica-e-il-ricorso-ai-privati/7062979/
2 Isabel Diaz Ayuso è stata descritta dai manifestanti come “terrorista della salute” e “assassina” e durante i cortei è stato proposto di “aprirle le budella”.
3 https://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/stati/spagna/2013/02/18/Spagna-sciopero-Iberia-scontri-aeroporto-Madrid_8269136.html
4 Il disegno di legge sui livelli minimi di servizio riguarda i comparti di sanità, istruzione, trasporti, vigili del fuoco, addetti alle dogane, addetti al settore nucleare. I datori di lavoro potranno stilare delle liste nelle quali indicare, con nomi e cognomi, i dipendenti che devono presentarsi al lavoro nonostante uno sciopero, pena il licenziamento. I sindacati, oltretutto, saranno tenuti a garantire che i loro iscritti rispettino questi livelli minimi di servizio, ovvero, saranno chiamati a far fallire e sabotare gli scioperi.
5 Vedi l’articolo dell’Anarchist Communist Group inglese: https://www.anarchistcommunism.org/2023/01/12/landlords-profit-tenants-suffer/ ; tradotto anche in italiano su https://umanitanova.org/londra-i-proprietari-guadagnano-gli-inquilini-soffrono/
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PENSIONI: VEDI CHE LAVORO?
I tecnocrati della “start-up nation”, adoratori del mercato globalizzato e concorrenziale, dotati dell’empatia di un blocco di cemento, ci promettono la prigione dell’economia.
Sentite il suono delle catene che, in un ritmo morboso, macinano tutta la tua vita lavorativa? Vedete ancora il fascio luminoso degli schermi che danneggiano i vostri occhi, sentite il peso dei pallet che dovete scaricare, misurate il ritmo delle vostre pedalate o delle vostre confezioni di imballaggio, pensate ai fine settimana trascorsi a correggere le copie spesso terribili o ai farmaci che ingoiate?
Lo Stato vuole fissare un’età legale di pensionamento a 64 anni e, per avere la pensione massima, è necessario aver lavorato 43 anni. Anni senza incidenti come licenziamenti, disoccupazione, malattia, lavoro part-time o gravidanza.
Altrimenti, dovrete accettare uno sconto (pensione minima) o lavorare da schiavi ancora più a lungo. Vale a dire che la tua pensione massima la raggiungerai quando sarai già nella tomba, o quando ci sarai già dentro con un piede.
NON SPRECHIAMO LA NOSTRA VITA NEL GUADAGNARCELA!
Macron (presidente della repubblica ndr), Borne (primo ministro), Dussopt (ministro degli affari sociali e della sanità), i datori di lavoro, tutti questi truffatori vogliono che lavoriamo fino alla morte. Saranno esentati i ricchi che hanno capitalizzato i loro soldi! Per loro, la riduzione della pensione non sarà troppo dannosa! Lo Stato è l’espressione di una classe al potere, quella dei capitalisti e degli speculatori di borsa.
Il governo ha annunciato un deficit di 12 miliardi per i fondi pensione nel 2027… Un’inezia a confronto dei 150 miliardi di esenzioni dai contributi previdenziali concessi alle aziende, contributi che sono, non dimentichiamolo, il nostro salario differito.
I soldi? Ci sono! Pensiamo al “costi quel che costi” dell’epidemia, ai superprofitti delle grandi aziende, delle compagnie petrolifere o dei commercianti di armi, alle colossali somme di denaro che lo Stato si appresta ad impegnare per rilanciare l’industria elettro-nucleare (e le scorie radioattive che ne derivano)…
La risposta deve essere proporzionata alla gravità degli attacchi. Dobbiamo aspettare l’esito delle prossime elezioni? Le belle promesse che non vengono mai mantenute sono vincolanti solo per chi le ascolta.
Dovremmo sfilare saggiamente ad ogni giornata di azione sotto lo sguardo beffardo del governo, dei padroni e dei loro compari delle redazioni? Dobbiamo affidarci alle burocrazie sindacali che si sono tirate indietro sullo statuto dei ferrovieri e che mantengono i loro posti nella piramide del potere?
Abbiamo scelto di lottare non per attenuare marginalmente la servitù del lavoro, ma per rompere con la sua forma salariale facendo scomparire la logica del profitto e dei rapporti di mercato. La società che dobbiamo creare insieme deve garantire la ridistribuzione egualitaria della ricchezza prodotta, assicurare il soddisfacimento dei bisogni materiali e intellettuali, stabilire forme di solidarietà lungo il corso di tutta la vita, promuovere i servizi pubblici… Tutto l’opposto dei piani di austerità e degli aggiustamenti strutturali imposti dai vari governi di destra come di sinistra.
Non abbiamo molti modi per vincere: lo sciopero generale, con l’occupazione dei luoghi di lavoro (officina, ufficio, magazzino, negozio…), dei luoghi simbolici (piazze pubbliche, rotonde…) e dei luoghi di potere (municipi), per fondare le comuni libertarie, autogestite e federate.
Questo movimento, difficile da realizzarsi per i processi degli ultimi anni (telelavoro, precarietà, controllo, alienazione socio-culturale…), deve anche basarsi su un recupero diretto della produzione e del consumo (cooperative, gruppi di acquisto…), sul ripristino della cooperazione su piccola scala collegata ad un tessuto più ampio!
Groupe Nestor-Makhno (région stéphanoise) de la Fédération Anarchiste
FONTE: https://www.federation-anarchiste.org/
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PENSIONE:
non sprechiamo la nostra VITA nel guadagnarcela!
Un quarto delle persone più povere che versano i contributi per le loro pensioni muore prima di poterne usufruire: questo è il dato implacabile della situazione attuale. Con il progressivo allungamento di questi contributi che non è NECESSARIO, NÉ URGENTE contrariamente a quanto martella la cricca di amministratori che ci governa, i meno avvantaggiati tra noi lavoreranno inevitabilmente fino alla morte, soprattutto a beneficio dei privilegiati. Questo progetto di società non è nostro, preferiamo la morte del lavoro alla morte da lavoro.
Verso un pensionamento necrofago?
Per tutti gli apostoli dell’attuale divoramento del mondo, il valore degli individui si misura solo in base alla loro produttività: guai a chi non è più “redditizio”, a chi non ha “completato” la propria carriera, vergogna agli improduttivi! Da questa concezione nasce la marcia funebre contro i nostri diritti e l’espulsione furiosa di sempre più persone dal ventre gonfio della società.
Purtroppo, a fronte di ciò, i sindacati – come il CFDT, [la Confédération francaise démocratique du travail, riformista] – si accontenteranno di collezionare grandi fallimenti e piccole vittorie a favore di una cogestione della vendita forzata delle nostre vite.
Ci rifiutiamo di vedere l’età pensionabile allontanarsi passo dopo passo fino a morire senza combattere. Poiché questa contro-conquista che ci è stata promessa, alla luce delle nostre osservazioni, va nella direzione di un approfondimento sempre più disgustoso delle disuguaglianze, noi ci opponiamo.
Stabilire il rapporto di forza
Per noi anarchici è fondamentale imporre innanzitutto l’abbandono del progetto governativo: da un lato perché costituirebbe un magnifico stop alla lunga serie di battute d’arresto che il movimento sociale ha subito negli ultimi anni, ma anche perché si presenterebbe come un serio ostacolo a futuri peggioramenti che possiamo immaginare. Per farlo, costruiamo gli scioperi e generalizziamoli con tutti i mezzi necessari.
Non chiediamo niente di meno meno di una vita piacevole e libera
Al di là del mortificante rinnovamento del capitalismo, gli anarchici scelgono di lottare non per attenuare in maniera marginale la servitù del lavoro, ma per rompere con la sua forma salariale facendo scomparire le relazioni di mercato che la consentono, attraverso l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e di distribuzione.
La società che dobbiamo creare insieme deve quindi garantire la ridistribuzione egualitaria della ricchezza prodotta, assicurare il soddisfacimento dei bisogni materiali e intellettuali, mettere in atto la solidarietà per tutta la vita e far funzionare i servizi pubblici. Questo è l’opposto dei piani di austerità e di adeguamento strutturale imposto dai vari governi di destra come di sinistra.
Per l’azione diretta e lo sciopero generale
La risposta deve quindi essere proporzionata alla gravità degli attacchi e allo stesso tempo prefigurare la società che verrà. Dobbiamo aspettare il risultato delle future elezioni? Il danno è fatto e non sarà mai riparato. Dovremmo marciare saggiamente ogni giornata di azione sotto lo sguardo beffardo del governo, dei padroni e dei loro compari di redazione? Non vinceremmo più.
Non c’è altra soluzione che organizzarsi e agire ora, con i valori che ci sono propri, contro questa riforma in primo luogo, e contro il suo mondo!
Pour une révolution SOCIALE et LIBERTAIRE!
Groupe Oai – Federation Anarchiste Marseille
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PENSIONI, E QUESTO È SOLO L’INIZIO!
Durante gli auguri di Capodanno, Macron ha dimostrato il suo scollamento dalla realtà affermando: “Chi avrebbe potuto prevedere la crisi climatica?”. Lo stesso sarà stato per la storica mobilitazione di giovedì 19 gennaio. I lavoratori si sono mobilitati in modo massiccio per difendere il loro diritto a godersi la pensione dopo decenni di duro lavoro.
Eravamo in 2 milioni nelle strade. Ovunque sul territorio, questa prima giornata di mobilitazione è stata storica, nel settore pubblico ma anche, e va sottolineato, in quello privato. È una vittoria per il nostro campo sociale, ma non sarà sufficiente a far cedere Macron e la sua cricca.
La prossima scadenza è già stata annunciata, martedì 31 gennaio. Ora dobbiamo costruire collettivamente, alla base, le condizioni per uno sciopero duro e rinnovabile, per far cedere il governo e i padroni. È insieme che vinceremo!
Union communiste libertaire, 19 gennaio 2023.
https://www.unioncommunistelibertaire.org/?Retraites-et-ce-n-est-que-le-debut
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Comitato di benvenuto per il ministro del lavoro
(Tolosa, Francia, febbraio 2023)
Sabotaggio della ferrovia a nord di Tolosa
Il ministro del lavoro era invitato alla sede del giornale La Dépêche [“La Dépêche du Midi”, quotidiano regionale di Tolosa; NdT] per fare la pubblicità della riforma delle pensioni [il governo francese sta cercando d’imporre l’innalzamento dell’età pensionabile, da 62 a 64 anni; da un mese in qua, questa riforma si urta ad un’importante opposizione, guidata dai sindacati, che prende la forma di importanti scioperi e grandi manifestazioni di piazza; NdT] e difendere la sua visione del mondo.
Come comitato di benvenuto degno di questo nome, abbiamo sabotato la linea ferroviaria a nord di Tolosa. Il treno incarna lo strumento di rifornimento, in manodopera e in merci, del sistema economico. Un sistema che funziona secondo il metodo «just in time» può essere perturbato prendendosela con queste arterie.
In solidarietà con tutti quelli che rifiutano questo mondo, che scendono in piazza, in queste settimane, che lottano per una vita più bella. Contro il disastro e lo sfruttamento del vivente, niente è perso ancora.
– Collettivo per l’inter-lotte «ciuf-ciuf»
[Pubblicato in francese l’11 febbraio 2023 e pubblicata in italiano in https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/02/13/comitato-di-benvenuto-per-il-ministro-del-lavoro-tolosa-francia-febbraio-2023/]
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PARTECIPARE ALLA RESISTENZA PER LE PENSIONI
(e anche per il resto)
[Pubblicato su Lundimatin #367, 23 gennaio 2023]
Riportiamo questo articolo scritto pochi giorni prima di giovedì 19 gennaio, quando più di un milione di persone hanno aderito alle manifestazioni in tutta la Francia in opposizione alla riforma delle pensioni. Un testo che ricorda le amare sconfitte subite dai governi Balladur e Villepin contro il CIP e il CPE, ma che soprattutto invita a diversificare le strategie e le modalità di azione.
Il disegno di legge che avrà un forte impatto sulle pensioni attuali e future è in realtà solo una parte del lavoro del governo Macron per l’adeguamento continuo delle condizioni di vita e di lavoro della maggior parte della popolazione:
– riforme dell’assicurazione contro la disoccupazione che mirano a ridurre l’importo e la durata dei sussidi per i più precari, cioè i milioni di persone che alternano contratti a tempo determinato sottopagati in tutte le loro forme e periodi di disoccupazione per i quali ricevono un indennizzo sempre minore, e a rendere questi sussidi variabili per il mero capriccio del governo;
– riforma dell’apprendistato per introdurre un sotto-sistema, dipendente dall’età, per il maggior numero possibile di giovani in apprendistato fino a 25 anni [1];
– sperimentazioni locali di lavoro obbligatorio e gratuito per i beneficiari di RSA [2], L’RSA è sempre stata vietata ai minori di 25 anni fin dalla creazione dell’RMI nel 1988;
– permessi di soggiorno per i lavori più richiesti per legalizzare lo sfruttamento dei lavoratori senza documenti [3].
Tutte queste misure costituiscono la base di un progetto sociale molto particolare in una democrazia: una morsa destinata a costringere progressivamente la maggioranza di noi a una disciplina liberale autoritaria. Voi, i giovani, gli stranieri, i precari, gli anziani, i part-time, le donne, i malati, gli invisibili, le prime e le seconde linee applaudite sotto il Covid, voi che, nel vostro lavoro, difendete il servizio pubblico e l’interesse generale contro gli interessi privati, i loro manager infiltrati ovunque, e in definitiva contro la privatizzazione in corso (…) della società da parte del capitalismo: Voi e altri sarete condannati a lavorare molto più a lungo, a guadagnare molto meno, spesso a vivere meno. Tutto questo per permettere all’economia attuale, che si appropria e distrugge le condizioni naturali della vita sulla terra per sostituirle con surrogati tecno-mercantili, di perseguire una crescita infinita e delirante, preservando il potere e alimentando uno stile di vita distruttivo e suicida, dei potenti e dei loro servitori più servili.
Da questi ultimi, soprattutto da quelli che si professano governanti, non c’è da aspettarsi altro che bugie, provocazioni e la deliberata strategia della confusione per distruggere i collettivi e fratturare la società in aggregati isolati facilmente manipolabili, con la designazione di capri espiatori per la vendetta generale (i disoccupati, gli stranieri, i non vaccinati, l’ecoterrorismo) e l’uso della violenza poliziesca per costringere alla sottomissione coloro che non accettano volentieri di ingerire l’una o l’altra dose della medicina prescritta.
Resta il fatto che la componente pensionistica dell’offensiva macronista sembra essere un elemento centrale, come dimostra l’attuale frenesia del governo Borne sul tema e, soprattutto, la storia delle mobilitazioni sociali in Francia negli ultimi 30 anni, dal novembre-dicembre 1995 (il ritiro della legge da parte del governo Juppé, che sembrò una mezza vittoria ai manifestanti) all’inverno 2019-2020 (la sospensione del conflitto per via del Covid), senza dimenticare la primavera del 2010 (la sconfitta del movimento sociale).
Dopo il movimento contro la legge sul lavoro del 2016 [la Loi Travail] e i suoi combattivi cortei, dopo l’inventiva e il radicalismo espressi dai Gilet Gialli del 2018-2019, dopo che la repressione dei movimenti sociali ha raggiunto un livello di violenza allucinante e assolutamente inedito in Francia da 60 anni a questa parte, resta anche il destino promesso ai giovani in questo mondo senza futuro. La gioventù, da sempre bersaglio privilegiato degli attacchi antisociali, si è mostrata per ben due volte nello stesso periodo capace con le sue massicce mobilitazioni di imporre sconfitte cocenti ai governi Balladur (CIP 1994) e Villepin (CPE 2006).
Il conflitto, dall’esito incerto, che ora sta riprendendo, se diventasse parte di un movimento ampio, ricco e variegato, potrebbe avere un impatto importante sull’intero programma neoliberista e sulla sua agenda. Ovviamente ci sarebbe molto da dire sull’istruzione in generale e sull’università in particolare, ma quanto detto sopra è sufficiente a dimostrare la necessità di una risposta collettiva all’altezza della posta in gioco, al di là delle divisioni di status, età e potere che attraversano il mondo dell’istruzione.
La scelta dei metodi, delle tattiche e delle strategie resta a noi, in base ai nostri desideri, alle nostre conoscenze e ai nostri vincoli particolari, locali, finanziari, familiari o di altro tipo. Dallo sciopero ripetuto allo sciopero “al rallentatore”[4], passando per le giornate d’azione o tutte le altre iniziative, puntuali o meno, pubbliche o meno, lasciare le porte aperte alla diversità delle pratiche significherà lasciare all’immaginazione e al corso degli eventi la possibilità di influenzare la realtà.
Il 16-01-2023, presso il collegio di Val d’Ance a Saint-Anthème,
un idiot des confins
NOTE:
[1] https://www.lapprenti.com/html/pratique/smic.asp
[2] https://expansive.info/RSA-sous-condition-l-etrange-cadeau-de-nouvelle-annee-des-elues-socialistes-et-3658
[3] https://paris-luttes.info/trier-exploiter-jeter-le-titre-de-16508; il Revenu de solidarité active (RSA), ovvero Reddito di Solidarietà Attiva, è una forma di sussidio statale francese per disoccupati e sotto-occupari, una sorta di Reddito di cittadinanza.
[4] In Francia, si definisce come sciopero “perlé”, cioè al rallentatore, il rallentamento del lavoro o il lavoro svolto con modalità deliberatamente difettose ed imprecise, ma senza una reale interruzione dell’attività. Questo sciopero è considerato illegale e può portare a sanzioni disciplinari.
FONTE: https://lundi.am/Entrer-en-resistance-pour-les-retraites-et-pour-le-reste-aussi
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ALLA RICERCA DEL SALTO DI QUALITÀ
Sulla situazione in corso.
[Pubblicato in Lundimatin #369, 6 febbraio 2023]
Sebbene il movimento contro la riforma delle pensioni sembri prendere piede in Francia, sta generando reazioni contrastanti. Se quantitativamente è numeroso, qualitativamente è debole. Abbiamo ricevuto questo testo che cerca di sintetizzare la situazione e propone umilmente alcune proposte per il “movimento rivoluzionario”.
Dopo lunghi mesi di nebbia, ritorna un movimento sociale. La combinazione di confinamento (distruttore di legami), guerra (dispensatore di angoscia apocalittica) ed elezioni (portatore di false speranze) suggeriva che l’apatia avesse vinto i cuori. Sembrava che fosse in corso un nuovo letargo politico decennale: un congelamento degli antagonismi in cui ognuno gioca il suo piccolo ruolo, i contestatori contestano, i dirigenti gestiscono e gli altri se ne fregano. Non che il mondo non sia pieno di crisi e di situazioni esplosive, ma la costernazione causata dal capitalismo dei disastri sembrava aver avuto la meglio su di noi. E all’improvviso (è una sorpresa?) diversi milioni di persone marciano per le strade su richiesta dei sindacati. Ma eccoci qui, a marciare e a tornare a casa.
Il movimento è massiccio ma così ritualizzato da sembrare un brutto remake. Torniamo la sera chiedendoci se non stiamo perdendo tempo: se non stiamo fingendo, se non stiamo giocando alla rivolta. Ma dobbiamo esserci, lo sentiamo incalzare dentro di noi. Tuttavia, il nostro indecifrabile scetticismo ci fa notare che, così com’è, che ci sia vittoria o sconfitta, il risultato sarebbe solo un ritorno alla normalità. Il nostro umore litigioso vede solo un’alleanza oggettiva tra la CGT [il sindacato di sinistra] e il governo, ciascuno nel suo ruolo di contenimento di eventuali straripamenti, per allontanare il movimento rivoluzionario. Il nostro ottimismo insiste: il numero di persone mobilitate è impressionante, certamente nelle grandi città, ma soprattutto negli angoli della Francia dove era da tempo che non si vedeva tanta gente in strada. Quindi sì, c’è una massa, ma una massa ben disciplinata. E il paragone con un movimento come quello dei Gilet Gialli è doloroso.
E se c’è un “corteo di testa” [Cortège de Tête, nell’originale, ovvero una tipologia di lotta francese durante i cortei], è più un insieme di teste, un’aggregazione individuale, cumulo davanti al mucchio sindacale, un piccolo rito all’interno del grande rito. Siamo troppo impazienti, troppo spontanei, pretendiamo la novità, l’inedito, senza voler fare lo sforzo. Troppo romantici, non abbastanza strategici. La zbeulificazione [1] va guadagnata, va preparata. Il nostro senso storico vede abbondantemente la grande mano del ritorno del sindacalismo, la grande coalizione parlamentare riformista, la rinascita della sinistra. E poi le pensioni, chi se ne frega delle pensioni? Il nostro sesto senso marxista vuole ribattere che, al contrario, dobbiamo lottare contro questa messa al lavoro, che è il cuore del reattore della disciplinarizzazione del mondo e della sua mercificazione. E che tutto questo va ben oltre la questione delle pensioni. È questo che ci attraversa, lo scetticismo disilluso e sarcastico del tipo “ne ho già visti altri” (la distinzione del militante) e l’ottimismo della pratica che chiede un rafforzamento della rivoluzione in ogni situazione (la fede del militante).
Un tentativo di chiarire la situazione è necessario finché il conflitto durerà, facendo alcune proposte.
Il movimento è inserito nella storia ed è in quanto tale che deve essere preso in considerazione.
Basandoci sulla distinzione di Furio Jesi, possiamo distinguere approssimativamente due tipi di eventi politici: la rivoluzione e la rivolta [2]. Questa distinzione non si basa né sulla natura oggettiva di questi due eventi (rivoluzione e rivolta sono entrambe insurrezionali) né sull’obiettivo dei soggetti (entrambi sono atti più o meno volontari che possono mirare indifferentemente alla presa del potere o alla sua rimozione). Ciò che distingue la rivolta dalla rivoluzione è l’esperienza del tempo che se ne fa. Nella rivolta c’è una sospensione del tempo storico, mentre la rivoluzione è inserita nel tempo storico. Gli eventi rivoluzionari sono eventi in cui le azioni sono ordinate secondo un obiettivo strategico a lungo termine. In altre parole, c’è una corrispondenza tra mezzi e fini che presuppone una visione del tempo continua: quello che faccio oggi mi aiuta a preparare e costruire la rivoluzione di domani. La rivolta è un precipitato e una sospensione del tempo storico: la lotta durante la rivolta è una lotta all’ultimo sangue dove il domani non conta. La rivolta è un fenomeno di chiaroveggenza: porta alla luce la cruda verità della lotta fino alla morte che normalmente è coperta dallo spettacolo, evoca il dopodomani di un mondo senza classi. La rivolta è generalmente una parentesi che si chiude, lasciando intatto il tempo normale del dominio, anche se può aprirsi in una rivoluzione [3]. Queste due polarità di eventi possono quindi permetterci di distinguere il movimento dei Gilet Gialli da quello attuale, accentuandole. Il movimento dei Gilet gialli mirava alla sospensione del tempo storico. Questo non ci porterà fuori dal tempo storico. Dobbiamo quindi prenderlo così com’è, prenderlo come un momento per far crescere le forze e le condizioni della rivoluzione. Non ha senso disperare di un movimento che non è una rivolta. Cogliere una situazione che si trova nel tempo storico richiede allora di capire il rapporto con il suo passato e le possibilità reali che può far emergere.
È chiaro che un periodo politico si è concluso nel 2020
In retrospettiva, i quattro anni successivi al 2016 sono stati una sequenza di lotte (globali) con un aumento dell’antagonismo da entrambe le parti: la guerra civile non era più latente ma sempre più visibile. Tra ogni momento di lotta (2016, 2017…) e spazi di lotta distinti (femminismi, ecologie, ecc.) c’è stato un processo dialettico cumulativo di trasformazioni reciproche. La sequenza si conclude in Francia con lo sciopero contro la riforma delle pensioni. Se adesso si riapre sullo stesso tipo di riforma, le cose appaiono però molto diverse. Rispetto al 2019, il movimento di sciopero non è guidato da un particolare settore (nel 2019 trasporti pubblici, ferrotranvieri). L’impulso di un settore dà un tono che costringe le direzioni sindacali a prendere posizione, il destino delle giornate di azione si decide anche nelle Assemblee Generali di lotta e non semplicemente tra i capi piuma dell’intersindacale. Per il momento, è l’intersindacale e la sua unità a guidare il movimento. È ovvio che senza almeno un settore cruciale fortemente mobilitato e riconducibile, non ci sarà alcuno straripamento dall’interno dei sindacati. Ciò che colpisce di più rispetto al 2019 è che organizzare sembrava molto più facile. C’era un pullulare di gruppi (bande) che si organizzavano insieme. Oggi le bande sembrano essere molto più rare. Il paragone più appropriato per comprendere il movimento attuale sembra essere quello del 2016, dove tutto è partito da uno spazio di organizzazione (il MILI) [Movimento Indipendente di Lotta Congiunta], uno spazio di incontro (Nuit debout) e un impulso da parte degli studenti delle scuole superiori per quella che è diventata la mobilitazione principale. Dobbiamo riprendere il filo, ricominciare lasciandoci indietro le ipotesi del passato che erano inoperose.
Riaprire come minimo una sequenza di lotta per accumulare forze
Riprendere il filo significa riconoscere la fine di una sequenza di lotte, riconoscere la fine delle abitudini e partire dall’idea che se ne sta stabilendo una nuova. Non tutto è perduto, ma c’è molto da ricostruire: organizzarsi non è più scontato. Quello a cui dobbiamo puntare, come minimo, è moltiplicare le assemblee, trasmettere alle nuove generazioni la sequenza di lotte del 2016 e ricreare abitudini organizzative. Qualunque sia l’esito della riforma, dobbiamo rafforzare il più possibile le nostre forze. Come dimostra il 2016, ci sono sconfitte che rendono potenti! E, come dimostra il 2010, ci sono movimenti di massa nelle strade che non ottengono nulla e smorzano a lungo le possibilità future. In altre parole, ciò che, a nostro avviso, dovrebbe essere decisivo per l’impegno del campo rivoluzionario nell’attuale modello di lotta non è la ricerca dei simboli della rivolta o la probabilità di vittoria del movimento sociale, ma impegnarsi per lasciare una possibilità aperta nel futuro.
Aprire spazi per reimparare ad organizzarsi
Ricreare queste abitudini di auto-organizzazione significa aprire spazi di organizzazione. Non c’è niente di nuovo sotto il sole, ci sono assemblee aziendali o di quartiere, ci sono occupazioni che si tengono, discussioni al freddo durante un blocco, ecc. Le persone hanno bisogno di intrecciarsi e di incontrarsi. Se ci fosse una cosa che cambierebbe questo movimento, sarebbe che le case delle persone si aprissero ovunque.
Non feticizzare la manifestazione
I media misurano il movimento solo in base al numero di manifestanti e al numero di finestre rotte. Vedendo che la manifestazione si calma, i media si congratulano con noi e ci chiedono persino nelle redazioni: “I black bloc sono passati di moda nelle manifestazioni?”, come chiede innocentemente “Marianne”. Se è ovvio che dobbiamo aumentare il livello di offensiva e superare il quadro della manifestazione ritualizzata, non deve essere ciò che accade a permetterci di giudicare questo movimento. La manifestazione è solo una presentazione ritualizzata dei rapporti di forza che si stanno costituendo in profondità, è solo la conseguenza delle piccole trame nel retrobottega. Ciò che è importante oggi non sta accadendo nelle manifestazioni, ma ieri sulle rotonde, qui nelle assemblee di sciopero, ecc. Abbiamo bisogno di moltiplicare i punti di incontro, i punti di trasmissione, e da questi spazi inventare cose nuove. Abbiamo quindi bisogno di una diversità di modalità d’azione che vada oltre la semplice manifestazione sindacale.
Colpire altri nemici
Se vogliamo andare oltre la semplice questione delle pensioni e tirare in ballo l’intero elenco di questo triste mondo, Macron e la sua riforma non possono essere gli unici bersagli. Una forma di inventiva sarebbe anche quella di annunciare altri obiettivi legati all’aumento dell’orario di lavoro. A Marsiglia, durante la manifestazione, abbiamo murato, ad esempio, il MEDEF [4]. Lottare contro tutto ciò che ci costringe a essere sfruttati significa anche colpire ciò che costa sempre di più e ci costringe a lavorare di più.
Dividere la divisione
Se la forma della manifestazione è sclerotica, è anche perché l’attuale divisione della manifestazione tra “corteo di testa” e corteo sindacale non è più interessante. Si tratta oggi di “gilet-giallare” i sindacati. Non partiamo da zero, alcune cose si sono interiorizzate dall’ultima riforma, come quando lo speaker del SUD canta «tout le monde déteste la police» dopo una carica della polizia [la federazione SUD Santé-Sociaux è un sindacato francese riformista di sinistra]. Ma ancora una volta, è soprattutto negli spazi esterni alla manifestazione che devono svolgersi gli incontri. La separazione, ad esempio, tra Assemblee Generali interprofessionali ed autonome non è soddisfacente. Più che di sostegno ai blocchi, abbiamo bisogno di azioni congiunte fuori dalle manifestazioni tra k-way neri e gilet rossi. Senza farsi illusioni sul cosa siano le istituzioni sindacali, si tratta di pensare ed agire con tutti coloro che non si accontentano di una semplice marcia rituale.
Verso il salto di qualità e oltre
Opporre il quantitativo (la massa) al qualitativo (la morbidezza o l’offensività delle persone in lotta) è un errore di interpretazione. Nella buona vecchia dialettica hegeliana, è solo attraverso cambiamenti quantitativi localizzati che si realizza un cambiamento qualitativo globale. Far crescere le forze rivoluzionarie passa solo attraverso una crescita localizzata di queste forze. Ovunque ci troviamo, dobbiamo continuare a moltiplicare le riunioni, a organizzarci e ad alzare il livello dell’offensiva.
NOTE
[1] Il termine zbeulification, mutuato dall’arabo magrebino zbèl (“spazzatura”), è emerso in Francia durante le rivolte delle banlieue del 2005 per indicare la creazione deliberata di disordine pubblico. Il termine è stato poi fatto proprio da altri movimenti insurrezionali francesi.
[2] Ecco quello che afferma Furio Jesi: “Usiamo il termine rivolta per indicare un movimento insurrezionale diverso dalla rivoluzione. La differenza tra rivolta e rivoluzione non sta negli obiettivi dell’una o dell’altra; entrambe possono avere lo stesso obiettivo: prendere [o togliere] il potere. Ciò che distingue fondamentalmente la rivolta dalla rivoluzione è una diversa esperienza del tempo. Se ci basiamo sul significato comune di questi due termini, la rivolta è un’esplosione insurrezionale improvvisata che può essere parte di un progetto strategico, ma che non implica di per sé una strategia di movimenti insurrezionali coordinati e orientati su un periodo di tempo relativamente lungo verso obiettivi definiti. Potremmo dire che la rivolta sospende il tempo storico e stabilisce improvvisamente un tempo in cui tutto ciò che si realizza vale in quanto tale, indipendentemente dalle conseguenze e dalle relazioni con tutti i fenomeni di natura transitoria o perenne che definiscono la storia. La rivoluzione, invece, sarebbe interamente e deliberatamente collocata nel tempo storico. (p. 91) Questa prima definizione sarà completata studiando il caso della rivolta spartachista. JESI, Furio, Spartakus, la tempête.
[3] È evidente che questa distinzione deve essere pensata dialetticamente, la domanda giusta per il rivoluzionario è quella del momento giusto, cioè l’articolazione di rivolta e rivoluzione.
[4] Il MEDEF è la principale associazione di imprenditori in Francia. Creato il 27 ottobre 1998, il Medef sostituisce il Conseil national du patronat français (CNPF). Il suo scopo è quello di rappresentare gli imprenditori francesi nei rapporti con lo Stato e i sindacati. L’organizzazione conta 750.000 aziende associate. Il MEDEF considera quella sulle pensioni “una riforma essenziale per salvaguardare il nostro sistema pensionistico”.
FONTE: https://lundi.am/A-la-recherche-du-saut-qualitatif
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PER CHI È IN VIAGGIO (nel 2023)
il 2016 nello specchio retrovisore
[apparso su Lundimatin #370, 14 febbraio 2023]
Dalle centrali sindacali al Ministero dell’Interno, tutti sono d’accordo: se si conta il numero di manifestanti, la mobilitazione contro la riforma delle pensioni è il più grande movimento sociale in Francia da anni. Tuttavia, a livello di marciapiede, l’atmosfera nelle strade sembra relativamente cupa, l’energia manca e la polizia soffoca. Molti rimpiangono il 2016 e i suoi risvolti, ovvero la comparsa di nuovi modi di manifestare e di andare oltre il rituale sindacale, quello che viene abitualmente chiamato Cortège de Tête [Corteo di Testa]. Nel testo che segue, ex studenti liceali che hanno partecipato al MILI (Mouvement Inter Luttes Indépendant) ripercorrono questo periodo e la genesi del famoso Cortège de Tête. Ci ricordano che per inventare nuove forme in grado di creare spazi e aprire possibilità, a volte sono necessarie alcune “condizioni oggettive”, ma soprattutto e sempre l’audacia.
Giovedì prossimo sarà la quinta giornata di lotta organizzata dai sindacati contro la riforma delle pensioni. Già la quinta. Nelle ultime settimane, gruppi con pretese rivoluzionarie, constatando le loro difficoltà a prendere piede nelle manifestazioni, ma anche la mancanza di ambizioni comuni, hanno iniziato a scrivere varie analisi del “movimento”, talvolta colorate di nostalgia e autocritica. Tra queste, si poteva leggere sul Lundi Matin, un appello a garantire la “trasmissione della sequenza di lotta del 2016 alle nuove generazioni”. Questo è, in un certo senso, l’obiettivo del testo che segue: vedere come un racconto del passaggio della lotta del 2016 possa gettare luce sulla situazione attuale. Parleremo quindi di “2016”. O meglio, del movimento contro la legge sul lavoro dal punto di vista del MILI [1], per mostrare il ruolo che alcuni registri hanno avuto in questa sequenza. Si tratta di mostrare il rovescio di un movimento che esiste ancora oggi nell’immaginario collettivo, sia attraverso vecchie immagini di riot porn, sia in certe forme che persistono ancora oggi, a volte nel modo del folklore, in particolare il Cortège de Tête [in italiano, Corteo di Testa]. Questi residui del 2016 possono portare alla nostalgia o far pensare a un “periodo benedetto di manifestazioni a Parigi”, facendo dimenticare che “lo zbeul va guadagnato” [si parla della tattica del riot]. È anche un’occasione per ricordare che nel 2016 abbiamo esitato, dato di matto e pensato in molte occasioni di essere arrivati a un punto morto.
Dal 2010 al 2016: la noia
Per capire come il 2016 abbia rappresentato una rottura nella storia della protesta degli ultimi quindici anni, è necessario contestualizzare questo movimento. A parte la ZAD [acronimo di Zone à Défendre, luogo di resistenza a Notre Dame des Landes di abitanti, famiglie contadine e solidali contro il progetto, risalente agli anni 70, di un mega-aereoporto] e una manciata di eventi, i primi anni del decennio 2010 sono stati, va detto, piuttosto deprimenti: nessun movimento su larga scala, la mobilitazione per le pensioni aveva (già) segnato il ritorno a forme di mobilitazione tradizionali. La questione della violenza politica sembrava anacronistica e riservata a bande di fanatici folletti col martello. A parte qualche data, la minima tag o finestra rotta scatenava le ire dei manifestanti “buoni”, il cui comportamento era problematico almeno quanto quello del servizio d’ordine o dei poliziotti, mentre l’esiguità e la morbidezza dell’ambiente radicale ne facilitavano la sorveglianza. Non era raro essere insultati come “poliziotti sotto copertura” e demascherati dai pacifisti. Era l’ordine delle cose. Nessuno osava immaginare la possibilità dell’emergere di qualcosa come quello che sarebbe stato chiamato il “Cortège de Tête”, e fu abbastanza saggiamente che inizialmente i radicali marciarono in fondo alle manifestazioni, dietro la CNT e la Federazione Anarchica [francofona], in attesa di un eventuale “sauvage”, orizzonte supremo del radicool parigino del 2000. Sorvoliamo sul contesto segnato dagli attentati [islamisti]: migliaia di persone che applaudono i poliziotti e lo stato di emergenza in Place de la République (e quindi gli arresti domiciliari e il divieto di manifestare, come quello della COP 21 nel 2015). Abbiamo comunque trovato il modo di ridere un po’ (grande Laffont!), c’era anche l’orizzonte della ZAD, ma lontano. In breve, un periodo di merda.
Creare spazio di manovra prima del 2016
Tuttavia, sarebbe sbagliato dire che il passaggio del 2016 è stato una sorpresa totale, nel senso che non è sorto ex-nihilo. La sua irruzione è legata alla mobilitazione dei gruppi, nel quadro del movimento, ma anche prima. Nel testo su Lundi Matin “Alla ricerca del salto di qualità”, il MILI viene descritto come uno “spazio organizzativo”. Tuttavia, si trattava più che altro di un gruppo legato alla politica della rivolta, tra gli altri esistenti [1]. Tuttavia, si differenziava da loro per la sua pubblicità e per l’eco che il suo discorso trovava tra una generazione di studenti liceali.
Prima del movimento contro la legge sul lavoro, la priorità del MILI era impedire alle organizzazioni giovanili e ai sindacati liceali, guidati dalla FIDL [Fédération indépendante et démocratique lycéenne, legata a SOS Racisme] e dall’UNL [Union nationale lycéenne], di organizzare manifestazioni nelle scuole superiori. Le ragioni del conflitto con questi gruppi erano molteplici. In primo luogo, noi del MILI consideravamo questi gruppi… morbidi. Da parte nostra, eravamo favorevoli a blocchi selvaggi, mentre loro invitavano alla calma, spiegando che era necessario essere ragionevoli e accettare di aprire un dialogo con le istituzioni. I più a sinistra, come i giovani dell’Anp, non hanno fatto molto meglio e hanno preferito lamentarsi che non c’erano le “condizioni oggettive”. In secondo luogo, c’è stata una divergenza di opinioni sulla finalità. Il MILI non è sempre stato un gruppo di autonomi e forse non è mai stato ideologicamente omogeneo, ma dopo il 2014 c’è stato comunque un accordo nel proporre slogan anticapitalisti e rivoluzionari, per dirla alla grande. Infine, era evidente che la maggior parte degli attivisti delle organizzazioni di sinistra erano manager-burocrati-in erba, rampanti che volevano fare carriera in politica e che si comportavano come politici. Utilizzavano le mobilitazioni nelle scuole superiori per dare legittimità alla loro organizzazione, anche se erano sconosciuti alla maggior parte degli studenti delle scuole superiori, ma si ponevano comunque come rappresentanti del movimento. Per farlo, avevano accesso a risorse consistenti grazie alla loro vicinanza ai partiti politici. Questa strategia è emersa chiaramente nella versione originale del raduno “11h Nation”. Infatti, i sindacati delle scuole superiori hanno convocato questo riunione in modo che i diversi licei occupati formassero un giovane corteo che si sarebbe sapientemente inserito nella manifestazione sindacale in cui avrebbero ballato al ritmo di David Guetta cantando stupidi slogan. Insomma, la manovra era detestabile e ci sembrava importante fermare la farsa. Ingenuamente, pensavamo che ogni giovane avesse un futuro da riottoso, che è proprio quello che questo dispositivo sindacale cercava di negare o impedire. Ci siamo quindi impegnati a sabotarlo, il che significava schiaffeggiare i dirigenti quando rispondevano alle interviste, lottare con il servizio d’ordine e andare modestamente oltre il quadro imposto: cartellini, petardi, fumogeni, maschere, ecc. È stato lungo e doloroso, fare pressione sui burocrati in erba è stato facile, in realtà rappresentavano solo se stessi. La questione diventava più delicata quando ci gettavano in pasto ai poliziotti o erano sostenuti dai servizi d’ordine di SOS Racisme o dell’UNEF [Union nationale des étudiants de France], con manganelli e spray in pugno. Se dovessimo essere precisi, sceglieremmo la data del 14 novembre 2014, la manifestazione successiva alla morte di Rémi Fraisse [2], per datare con precisione l’emarginazione dei sindacati dei licei: in compagnia di un’altra banda, il MILI ha sgomberato i servizi d’ordine dalla manifestazione, le etichette anticapitaliste hanno sostituito le bandiere del PS [Partito Socialista, l’equivalente dell’italiano PD] e gli slogan anti-poliziotto e i rumori dei petardi hanno sostituito David Guetta.
I sindacati dei licei si sono poi progressivamente ritirati. Tanto che nel 2015 la manifestazione contro la legge Macron è stata organizzata dal MILI, e il suo clima era in netto contrasto con le classiche manifestazioni liceali. Insomma, poco prima del 2016, il MILI, con l’aiuto di altri e sotto l’influenza di altre esperienze politiche, si era affermato nel microcosmo politico liceale, si era costruito una piccola reputazione e godeva di un certo pubblico. Si era aperto uno spazio di intervento.
Troppo veloce e troppo duro?
Tuttavia, il Cortège de Tête non si è presentato fin dalla prima mobilitazione del 2016 e la tensione è dovuta salire fino a un crescendo. Abbiamo forse iniziato troppo velocemente, troppo duramente. Troppo felici di poter organizzare la “11h Nation”, galvanizzati dall’idea di un probabile movimento su larga scala e sotto l’influenza delle rare manifestazioni tumultuose degli ultimi anni, abbiamo deciso di alzare il livello. Solo che piove, che probabilmente non siamo più di 200 e che se abbiamo già partecipato a qualche situazione di sommossa, non è il caso della stragrande maggioranza del corteo. Così, quando iniziano a lanciare petardi in tutte le direzioni, a lanciare uova e bottiglie di vernice e a saltare sulle rive del faubourg Saint-Antoine, un vento di panico si diffonde nella manifestazione senza che questa si disperda. L’atmosfera subisce un ulteriore colpo quando uno studente perde un polpastrello mentre raccoglie un petardo e un ex dirigente della FIDL si prende tre-quattro patate in testa nel bel mezzo del corteo che ristagna in un vicolo. L’atmosfera è pesante nonostante l’impianto audio che portiamo in giro per dare un lato “festoso” alla manifestazione. Nonostante tutto questo e la pressione dei poliziotti, il corteo resiste e arriva a Place de la République per la manifestazione sindacale durante la quale non accadrà nulla di rilevante. Siamo soddisfatti di noi stessi, ma ci chiediamo ancora se non abbiamo iniziato troppo in fretta per questo primo appuntamento.
Tuttavia, la settimana successiva, il 17 marzo, riprendiamo lo stesso e ricominciamo…. Questa volta il tempo è bello, siamo ancora più numerosi alle 11 del mattino. Per cercare di controbilanciare il divario tra gli studenti black bloc e il resto della marcia, non optiamo per il livellamento verso il basso. Al contrario, ci procuriamo delle maschere da distribuire durante la manifestazione per incoraggiare il maggior numero possibile di persone a indossare le maschere, ci procuriamo un megafono per cercare di ridurre le paure e decidiamo di indossare maschere colorate per essere meno spaventosi. Senza pensare in modo strategico, decidiamo di fare degli striscioni con le battute dei rapper che ascoltiamo e di taggare. Potrebbe non sembrare una cosa importante, ma ci ricorda che facciamo parte della comunità liceale e che non vogliamo la politica noiosa di tutti quegli attivisti troskisti o socialisti che, anche se non hanno ancora 18 anni, sembrano già dei burocrati millenari. Non vogliamo più D. Guetta, non vogliamo il famoso “3 passi avanti, 2 passi indietro, questa è la politica del governo”, vogliamo il PNL, il SCH o il Booba, qualcosa che ci parli davvero. Con dolore, cerchiamo di formare un corteo per andare al Faubourg Saint-Antoine, fatichiamo a mettere gli striscioni davanti e poi il corteo parte. Per mezzo secondo pensiamo di riuscire a guidare la manifestazione e a farla salire fino a un crescendo prima di essere travolti, con nostra grande gioia, da noi stessi ma anche da una parte degli studenti.
La manifestazione è andata ancora meno lontano della volta precedente e gran parte del corteo si è disperso, riunendosi alla manifestazione sindacale senza che accadesse nulla di interessante.
Non ci aspettiamo molto dalle manifestazioni sindacali, siamo giovani, un po’ pazzi, ma per noi rimane uno spazio chiuso e ostile. Se abbiamo già fatto alcune cose lì, sappiamo bene che le azioni offensive sono condannate da gran parte dei manifestanti e delle organizzazioni sindacali. Alcuni di noi hanno partecipato brevemente al movimento per le pensioni del 2010, e ricordiamo le manifestazioni selvagge di 100 o 150 persone che marciavano su un corteo di diecimila persone, la vicenda del “calcio ninja” e gli interventi del BAC [Brigate anti-criminalità] in abiti civili nella manifestazione. Abbiamo anche potuto testare questo quadro nel 2014 durante una manifestazione anti-FN: la prima volta che abbiamo rotto una finestra siamo stati fischiati da centinaia di manifestanti tra i quali abbiamo dovuto giocare al gatto e al topo con il BAC che ci stava dando la caccia. In breve, questo spiega perché eravamo riluttanti a investire in questo progetto.
Tutta la verità sulla reale nascita della Cortège de Tête
La settimana successiva, decidemmo di convocare una manifestazione liceale alle 11 in Place d’Italie, che ci avrebbe permesso di unirci più facilmente al corteo sindacale che si recava a Montparnasse-Invalides il 24 marzo. Sebbene non fossimo in molti e non fossimo necessariamente in sintonia con gli studenti liceali di Paris-Sud, la giornata è iniziata in modo deciso: ci sono stati lanci di bottiglie e il BAC ci ha espulsi manu militari.
Questa volta la portata dello straripamento si spiega soprattutto con l’arrivo di altri gruppi nelle manifestazioni “liceali”. Avevamo una piccola forza dalla nostra e riuscimmo più o meno a dare un ritmo al movimento delle scuole superiori, ma non potevamo gestire da soli la questione della polizia. Invitammo e cominciammo a coordinarci più o meno formalmente con altri gruppi con cui ci confrontavamo da tempo, non con il milieu parigino stentato, ma con chi credeva ancora nella strategia della rivolta, si muoveva e aveva i mezzi per farlo. Tuttavia, se c’era accordo sulla volontà di alzare il livello dello scontro, non c’era omogeneità ideologica. Inoltre, non si trattava di un freddo coordinamento tra gruppi. A tenere insieme questi gruppi erano le complicità, i legami di familiarità e talvolta di amicizia. L’alto livello di gioco e di discussione collettiva rafforzava questi legami e gli schieramenti. Tuttavia, non c’era omogeneità nemmeno in termini di forme di attività. In breve, senza questo coordinamento, il “salto di qualità” del 2016 non sarebbe stato possibile a Parigi e ha giocato un ruolo importante nelle prime date del movimento.
Il corteo dei liceali riesce più o meno ad arrivare a Montparnasse e ancora una volta non ci aspettiamo molto. Ma anche in questo caso siamo stati superati da una parte degli studenti, e anche in questo caso ne siamo rimasti entusiasti. Per audacia o ingenuità, non lo sapremo mai, una parte del corteo decide di posizionarsi davanti allo spezzone dei sindacati, non capendo perché dovrebbe essere relegata in fondo alla manifestazione. Noi naturalmente decidiamo di appoggiare l’iniziativa, odiamo la sinistra in tutte le sue forme: partiti politici, sindacati liceali e studenteschi o centrali sindacali. Per noi sono riformisti con cui non condividiamo né i mezzi né i fini, e questa sensazione è accentuata dal governo del Partito Socialista. Per molti versi, per noi il 2016 è stato un movimento contro le forme tradizionali di protesta. I sindacati non apprezzano il movimento (come? i giovani vogliono marciare davanti, rifiutano di essere rappresentati e guidati?), e nemmeno i poliziotti che ne approfittano per arrestare un attivista proprio in questo primo Cortège de Tête. Quest’ultimo, composto per lo più da studenti delle scuole superiori, finisce per avanzare mentre il servizio d’ordine si assicura di lasciare almeno 100 metri tra lui e il resto della manifestazione. La situazione è piuttosto tranquilla fino agli Invalides, poi si scatena. Siamo sicuri di mettere in subbuglio la borghesia, tanto più che la composizione della manifestazione non si limita all’ambiente radicale.
Senza che questo segua una progressione lineare, la tensione è aumentata di data in data, sia nei confronti dei poliziotti che del servizio d’ordine. In mattinata, nell’ambito di “manifestazioni liceali” che sono sempre più liceali solo di nome: un attacco a un commissariato di polizia il 25 marzo dopo il “pugno di Bergson” [a Bergson, un liceale era stato colpito da un pugno da un poliziotto, a margine di un blocco contro la legge sul Lavoro; il video dell’aggressione era poi stato rilanciato sui social media].
In seguito, le riunioni dell’11h Nation hanno cominciato a declinare sotto l’effetto della repressione, essendo trattate dalla polizia sempre più come una riunione di radicali e sempre meno come una manifestazione liceale. La prima riunione di aprile fu fortemente repressa: pesanti cariche e una retata, dove i più fortunati riusciranno a fuggire attraverso la vecchia caserma di Reuilly.
Lotte
La chiusura di questo spazio non si è rivelata un problema nell’immediato, ma ci ha permesso di dare un ritmo e un’intensità alla mobilitazione al di fuori del quadro delle manifestazioni sindacali, che peraltro ha iniziato ad aprirsi sotto l’impulso della Cortège de Tête.
Anche in questo caso non è stato facile, è stato necessario imporsi di fronte ai poliziotti e soprattutto di fronte ai servizi d’ordine, per le quali la Cortège de Tête minacciava l’egemonia sindacale sul movimento sociale e certamente, cosa più importante per loro, metteva in discussione il loro ruolo di gorilla con le palle grosse. Diversi elementi contribuiscono a spiegare la perdita di legittimità dei sindacati a vantaggio della Cortège de Tête, perché se i rapporti di forza erano effettivamente materiali, era soprattutto la questione della legittimità delle pratiche radicali e di coloro che le portano avanti a essere in gioco. Bisognava innanzitutto imporsi fisicamente, un primo scontro è avvenuto il 31 marzo con le FO, che non sono riuscite a sconfiggere la Cortège de Tête. Un altro grande scontro scoppiò il 17 maggio, quando il servizio d’ordine fu sbaragliato (merci Monceau Fleurs).
Allo stesso tempo, il contrasto tra la Cortège de Tête, decisa ad alzare il livello di conflittualità e di organizzazione di fronte alla repressione, e la mollezza delle organizzazioni sindacali si fa sempre più forte. La Cortège de Tête incarna l’opposizione più radicale, alla legge, al governo e al capitalismo, e certamente ai metodi tradizionali di protesta che da decenni falliscono uno dopo l’altro. Ad essa si sono progressivamente uniti tutti coloro che non vogliono limitarsi a manifestazioni bonarie, compresi i sindacalisti. Le organizzazioni sindacali e i servizi d’ordine sindacali (SO) non sembrano aver colto la portata di questa inversione di tendenza. Così, quando il 17 maggio le SO hanno tentato di attaccare la Cortège de Tête armate di mazze da baseball, manganelli telescopici, caschi e gas lacrimogeni, è stato un gruppo massiccio ed eterogeneo (giovani, radicali in nero, sindacalisti, lambda, anziani, ecc.) a fischiarli e a scandire “SO collabo”. Quest’ultime hanno perso, nello stesso giorno, la lotta e la loro legittimità nello spazio della manifestazione, e da allora stanno mordendo il freno. L’umiliazione delle centrali sindacali diventerà ancora più eclatante più tardi, il 1° maggio 2018: il numero di manifestanti del “corteo di testa” supera ampiamente quello del corteo sindacale, che è solo aneddotico in questa giornata, che vedrà un enorme blocco nero.
Oltre alle manifestazioni sindacali, la conflittualità continua a svolgersi in altri spazi: l’occupazione di Tolbiac, le manifestazioni selvagge, la Nuit Debout e il suo famoso “aperitivo da Valls” [quando diverse centinaia di partecipanti alla “Nuit Debout” a Parigi si sono dirette verso la casa del primo ministro Manuel Valls, prima di essere bloccati dalle forze dell’ordine con gas lacrimogeni e cariche] e le occupazioni delle scuole superiori.
Non abbiamo più il controllo, siamo stati sopraffatti per parecchio tempo e questo è un bene. Se il movimento ci galvanizza, paradossalmente stiamo perdendo velocità, il gruppo comincia a disintegrarsi sotto l’effetto della (re)pressione. Ci sentiamo nel mirino, veniamo presentati come un movimento “ultrà”; quando le prime interdizioni a manifestare cadono su di noi, alcuni vengono malmenati dai poliziotti tornando a casa, e c’è anche l’auto bruciata. Insomma, diventa sempre più difficile ipotizzare un’esistenza e delle azioni pubbliche, e forse la cosa più problematica è che non riusciamo a metterci d’accordo su un livello comune di coinvolgimento. In generale, c’è il logorio di un gruppo che forse si è bruciato troppo in fretta e ha avuto una tendenza al nichilismo e all’autodistruzione. L’implosione del nostro gruppo non ha avuto alcun effetto sul movimento, che aveva trovato un proprio ritmo e stava iniziando a generare i propri gruppi. Il 14 giugno ne è stata una dimostrazione lampante: non siamo lì come una squadra unica e ci sono molte altri gruppi che possono fare il lavoro.
Stessa cosa all’inizio dell’anno scolastico, abbiamo convocato un’assemblea del liceo, 50 giovani in sala all’inizio di settembre; hanno avuto l’impressione che non fossero molti, abbiamo detto loro che non eravamo più di 10 da 4 anni.
Mai cresciuti?
La Cortège de Tête non è apparsa per magia. Non era meno il prodotto della spontaneità che delle “condizioni oggettive”. È una forma di conflittualità che si è imposta e diffusa progressivamente nella manifestazione sindacale sotto l’impulso dei gruppi, per poi diventare autonoma. È del resto questa stessa energia, questo stesso dissenso, che ha cercato di dispiegarsi altrove – 11h Nation, Nuits Debout, manifestazioni selvagge -, trovandovi posto in modo più limitato, senza incontrare la stessa eco (con una puntuale rilevanza ma non la stessa persistenza). Il Cortège de Tête si è trasformato nel corso del cammino prima che la sua forma si stabilizzasse, diventasse folcloristica o addirittura sclerotizzata. A volte è stato dominato dal suo lato festoso, a volte da una modalità black bloc, o addirittura da un tono k-way-nero-trasparente-rosso: quindi la conflittualità non si è incarnata sempre nello stesso modo. Tuttavia, per questo movimento ha significato per un certo periodo il “salto di qualità”, nella forma adeguata.
Questo non è più vero nel 2023.
Se il Cortège de Tête si è stabilizzato, in modo duraturo, fino alle attuali manifestazioni contro la riforma delle pensioni, non è più sinonimo di superamento degli ostacoli (contestazione della presa di possesso dello spazio di rappresentanza politica da parte del conservatorismo di sinistra, mezzi di offensiva collettiva, tematizzazione del movimento su una lotta non riformista). È un surrogato, dipendente da una forma automatica ma progressivamente svuotato della sua sostanza: una sala d’attesa. Si spera ancora nell’evento – qualcuno a volte cerca di attivarlo – ma non arriva, o quasi mai.
Forse ci dimentichiamo che un luogo del genere è stato costruito solo nel 2016 attraverso una tensione perpetua, una certa lotta, e che la possibilità della sua esistenza ha dovuto richiedere di mettere il piede nella porta (e talvolta in bocca). Le difficoltà erano numerose, le prospettive scarse – come oggi – eppure bisognava provare, inventare e poi persistere. A volte – come si è visto di nuovo il 16 marzo 2018 o lo scorso ottobre a Sainte-Soline – per arrivare al famoso straripamento.
Fondamentalmente, questo non è un appello per un Cortège de Tête autentico o eterno. Se probabilmente non dobbiamo gettarlo nella spazzatura – e considerare ciò che c’è ancora in continuità offensiva con la sua attuale testardaggine – dobbiamo ancora intendere la sua stagnazione come una crisi di “foi(e)” [gioco di parole francese tra le parole fede e fegato]. Il tempo della collaborazione, della coesione e di una forte determinazione che siamo venuti a cercare non c’è più. La qualità e il livello generale di conflitto che veniva attuato lì si sono dissipati. Gli assalti sfrenati dei poliziotti contro il Cortège de Tête dal 2016, e questo in particolare a Parigi, non sono passati indenni. Eppure è sempre meglio che tornare in fondo alle retrovie, alle profondità dei cortei delle bandiere, in una traiettoria minoritaria tendente all’infinito.
Quindi, anche se dovessi andare [alle manifestazioni attuali contro le pensioni], tanto vale andarci carico della voglia del proprio straripamento, non essendo peraltro escluso che ciò che prenderà il posto del Cortège de Tête possa ancora partire dal Cortège de Tête stesso.
Si tratta quindi di mettersi alla ricerca di nuovi modi di attualizzare la sua ipotesi politica e quello che fu: intervento e conflittualità di strada. Recuperare il divario, anche all’interno del movimento sociale, spingere l’offensiva.
NOTE
[1] Mouvement Inter Luttes Indépendant. Come si evince dal resto del testo, il MILI era sia una “banda” che uno spazio di organizzazione tra studenti liceali e universitari parigini.
[2] Rémi Fraisse è un attivista ecologista di 21 anni, ucciso il 26 ottobre 2014 per l’esplosione di una granata sparata dalla polizia durante le proteste contro la costruzione della diga nella foresta di Sivens, a Lisle-sur-Tarn, nella Francia meridionale.
FONTE: https://lundi.am/Pour-ceux-qui-bougent-en-2023-2016-dans-le-retroviseur
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Pubblicato il 17 Febbraio 2023 da coordinamenta
In Francia ormai da tempo si susseguono le proteste contro la riforma delle pensioni. Insieme agli scioperi e alle manifestazioni partecipatissime e determinate è stata messa in atto da tecnici e operai delle società elettriche e del gas, un forma di lotta importantissima di cui dovremmo fare tesoro. Il sito francese Mediapart ha di recente raccontato come alcuni tecnici delle principali società francesi di distribuzione del gas e dell’energia elettrica, oltre a partecipare agli scioperi e alle manifestazioni di piazza, stiano attuando in modo piuttosto coordinato un’altra forma di protesta: manomettono i contatori di gas ed energia elettrica in modo che gli utenti paghino solo la metà del loro consumo effettivo, oppure non lo paghino affatto. Queste pratiche, che non sono comunque una novità, sono state soprannominate “azioni Robin Hood”, il popolare eroe inglese che “rubava ai ricchi per dare ai poveri” e che restituiva ai cittadini le tasse raccolte dallo sceriffo di Nottingham.
Continuate a leggere qui https://www.ilpost.it/2023/02/16/tecnici-manomettono-contatori-francia-protesta/
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Tutto per l’esercito, i poliziotti e il controllo,
niente per le pensioni, la disoccupazione e la sanità…!
[Pubblicato da CRAAM 01/02/2023]
In un contesto di crisi sociale, sanitaria e climatica, il governo sta forzando le riforme delle RSA, della disoccupazione e delle pensioni a favore degli armamenti e del controllo.
Macron ha appena aumentato il budget per le forze armate del 33% per il periodo 2024-2030, da 300 a 413 miliardi di euro. All’ordine del giorno: il rafforzamento delle forze nucleari, l’acquisto di tutti i tipi di armi, l’esplosione dei bilanci “cibernetici”, cioè lo spionaggio, la sorveglianza e il controllo delle popolazioni. La Guardia Nazionale passerà da 80.000 a 180.000 riservisti, oltre ai 200.000 militari e ai 100.000 gendarmi. Recentemente, un generale dell’esercito ha ammesso che questi riservisti sono stati mobilitati durante le proteste dei Gilet Gialli; sappiamo cosa aspettarci se il movimento sociale dovesse crescere.
Anche la polizia avrà la sua dotazione di 15 miliardi grazie alla legge LOPMI. L’equivalente dei soldi risparmiati sulle vostre pensioni (12 miliardi) finisce nelle tasche di coloro che si preparano a reprimere violentemente il movimento sociale; viene utilizzato per acquistare attrezzature repressive (ad esempio 38 milioni per l’acquisto di granate e LBD) e per la sorveglianza. Questa legge consentirà anche ai prefetti di istituire stati di emergenza locali, dando loro pieni poteri per un mese per “ristabilire l’ordine pubblico”.
Secondo il suo discorso del 20 gennaio, Macron intende “mantenere il sostegno reciproco tra gli eserciti e le forze di sicurezza interna e civile per rispondere sempre meglio alle crisi, sanitarie o climatiche, ad esempio”. Dovremmo sospettare che le crisi sanitarie e climatiche non sono le uniche contro le quali è probabile che vengano utilizzate le forze di sicurezza e militari?
Riassumiamo: mentre voi siete costretti a lavorare di più, l’ospedale pubblico è al collasso e l’assistenza sociale diminuisce, lo Stato offre 128 miliardi ai militari e ai poliziotti.
Fermare le riforme di Macron, il controllo della popolazione e la militarizzazione della società!
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Volantino per lo sciopero del 31 gennaio 2023:
AGIAMO INSIEME E SUBITO!
[Pubblicato il 29/01/2023 da La Mouette Enragée]
– Macron non si arrenderà! In questo momento si sta nascondendo dietro la legittimità istituzionale, ma questa è una guerra di classe! Chi sostiene che uno Stato democratico deve ascoltare la voce del popolo si sbaglia e perde tempo. Certo, in uno Stato democratico l’espressione degli interessi subalterni è consentita, è addirittura venerata: il diritto di voto, il diritto di sciopero, il diritto di manifestare… ma questa macchina legislativa è configurata in modo tale che gli interessi fondamentali della classe dominante non debbano mai patire. Finché la borghesia trova un compromesso con le sue classi subalterne, diventa la più amabile delle amanti. Se vede i suoi piani in difficoltà, cambia idea. Ha a disposizione un arsenale di leggi appropriate e, se necessario, il manganello, i tribunali e la prigione. Ad esempio, il CRS [1] ha recentemente fatto irruzione nei campus dell’Università di Strasburgo e dell’EHESS di Parigi, radunando e fermando gli studenti mobilitati. E questo è solo l’inizio…
Fermiamo la macchina produttiva!
– Eravamo in due milioni in piazza il 19 gennaio! Eravamo numerosi, è vero. Ma fino a prova contraria, il Capitale non si nutre né di voti in assemblea né di passeggiate, si nutre esclusivamente di lavoro sfruttato ed assoggettato, in questo caso il nostro! E la sua fame è insaziabile, come dimostrano gli ultimi attacchi del governo all’assicurazione contro la disoccupazione e alle pensioni. Per far piegare Macron e la borghesia, purtroppo, non basterà marciare in massa per le strade di Parigi o delle città di provincia. Per riuscirci, dobbiamo prima privarli del lavoro, delle merci e quindi del profitto. Lo sciopero è la prima arma a nostra disposizione. Lo sciopero deve quindi estendersi a tutti i settori della produzione e dei servizi, senza eccezioni. Ma per essere efficace, deve fermare direttamente l’accumulazione del capitale, sconvolgendo la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti materiali e pratici: il tempo, il traffico, i trasporti, la comunicazione… Lo sciopero deve tornare a essere quel momento di rottura in cui noi lavoratrici/lavoratori strappiamo il potere alla borghesia e ai suoi politici, riprendendo il controllo delle nostre vite. Lo sciopero deve tornare a essere quel particolare momento in cui si inverte l’equilibrio di potere e si sfida la loro (il)legittimità, dimostrando in pratica che Noi siamo tutto! loro niente! La partita è aperta e le jeu est ouvert!
Non aspettiamo la pensione per liberarci dal lavoro e dal capitale!
– Lo sentiamo tutti, nonostante i suoi tentennamenti, questa mobilitazione contiene qualcosa di più del semplice rifiuto di un progetto governativo. Sta accadendo qualcosa in questo momento, a cui dobbiamo ancora dare forma e contenuto… Potrebbe essere che finalmente le donne e gli uomini della nostra classe abbiano iniziato a smettere di accettare, a smettere di indietreggiare. Ed è questo che preoccupa i poteri forti… Con tutti i limiti che lo hanno caratterizzato, il movimento dei Gilet Gialli ha squarciato il velo che nascondeva da tempo la realtà dei rapporti di classe che strutturano questa società. Chiedendo con l’azione di poter vivere con dignità e di decidere alla base, questa dinamica ha resuscitato i fondamenti di un movimento operaio che era diventato smemorato e costretto a letto. Se, come speriamo, la lotta che si sta svolgendo suona il risveglio del nostro campo, allora dobbiamo cogliere questa opportunità e portare a termine il compito, per quanto possibile.
– Con il “pensionamento” si pone infatti la questione centrale del lavoro. Non il lavoro nel suo senso antropologico, ma il lavoro salariato, il lavoro sfruttato, il lavoro oppresso e naturalmente il significato, o meglio il non significato, che esso ricopre sotto la dittatura del capitale. Per riempire il frigorifero, milioni di noi sono costretti a vendersi ogni giorno a un padrone, piccolo, grande, privato o pubblico, simpatico o schifoso, a volte sconosciuto… Sopportiamo l’arroganza di piccoli manager inetti, vigliacchi e viziosi. Ci sottomettiamo agli imperativi di progetti, obiettivi, sondaggi, statistiche… e a quale scopo? Al solo scopo di aumentare il potere materiale e la ricchezza dei membri di quella stessa classe sociale. La borghesia ha fatto il suo tempo, e sta rubando il nostro tempo oltre al resto! Non aspettiamo più, a turno, un’ipotetica pensione per sfuggire alle sue grinfie! Agiamo insieme e subito!
Non siamo niente… Siamo tutto! Boulogne sur mer, le 29/01/2023
NOTE
[1] Il Corpo di sicurezza repubblicano (in francese: Compagnies républicaines de sécurité), abbreviato CRS, è la riserva della polizia nazionale francese. Sono principalmente coinvolti nel controllo dell’ordine pubblico.