Il passaggio dell’ennesimo fenomeno metereologico “estremo” in Europa, dopo le alluvioni che recentemente hanno interessato l’Emilia-Romagna (18-19 settembre e 19-20 ottobre 2024) nei territori già colpiti dall’alluvione del maggio 2023, stavolta ha coinvolto la Spagna. A farne le spese è stata soprattutto la Comunità di Valencia. Le immagini giunte dalla città assomigliano a quelle di un disaster movie, però sono tragicamente vere. Il fenomeno temporalesco della DANA o Gota Fria (Goccia fredda) ha portato, martedì 29 ottobre, alla devastazione di interi quartieri a sud del centro storico, strade piene di acqua e fango e enormi mucchi di auto distrutte, oltre 200 persone decedute, un’ottantina di dispersi, 360.000 senz’acqua e 155.000 senza elettricità. Si tratta di una delle alluvioni più distruttive degli ultimi anni. Dobbiamo a questo punto chiederci se quello che è successo era evitabile, e in caso affermativo quali sono le responsabilità dell’accaduto. Anche perché stiamo parlando di fenomeni climatici e meteorologici che si stanno palesemente acutizzando, con distanze tra un evento e l’altro che si fanno sempre più ridotte, non dunque “una volta ogni 100 anni”.
La penisola iberica sta sopportando estati calde e secche con conseguenti forti tempeste autunnali che si sono già verificate negli anni passati. La Goccia fredda (gota fría, in spagnolo) o DANA, Depresión Aislada en Niveles Altos, è un fenomeno che colpisce di solito il Meditterraneo occidentale, e in particolare la costa orientale spagnola. E’ prodotto dallo scontro di un fronte di aria fredda con l’aria più calda e umida del Mar Mediterraneo, che genera forti tempeste. Il 14 ottobre 1957 lo stesso fenomeno, sempre a Valencia, aveva provocato una grossa alluvione con la morte di 80 persone. Ma dato che il Meditterraneo negli ultimi anni ha fatto registrare temperature sempre più alte, anche la potenza di questi fenomeni ne è accresciuta e quindi le conseguenze in termini distruttivi.
Dunque le responsabilità, non genericamente “dell’umanità” ma della produzione capitalista è abbastanza evidente, dato l’ormai nota correlazione tra attività antropica (gas serra) e il surriscaldamento della terra e dei mari.
Così come è palese che le conseguenze distruttive di tali fenomeni sono maggiormente impattanti nelle aree urbane pesantemente antropizzate e cementificate, dove i terreni non riescono più ad assorbire o far defluire le acque di piogge torrenziali e fiumi esondati, trasformandosi così in alluvioni di portata gigantesca. Non a caso, Valencia è una delle città maggiormente urbanizzate della Spagna. In molti luoghi le case sono state costruite vicino ai fiumi, addirittura vicino a nuovi corsi d’acqua totalmente artificiali. Nella maggior parte dei casi, gli stessi fiumi sono stati oggetto di interventi nel corso del tempo che ne hanno mutato la naturale conformazione, restringendo gli alvei e aumentandone la velocità e quindi la forza. Questi interventi, che un tempo potevano essere percepiti come sicuri, sono ormai superati dalla realtà climatica di oggi.
Ma oltre alle macro-responsabilità generali, anche questa volta ci sono responsabilità politiche particolari rispetto a quanto successo. Direttamente colpevole, in questo caso, è infatti Carlos Mazon, il presidente della Generalitat Valenciana, espressione del Partito Popolare, in coalizione nel governo locale con il partito neofascista Vox.
Già dalla mattinata di martedì 29 ottobre, mentre gli istituti meteorologici emettevano un avvertimento con allarme rosso, Mazon ha minimizzato il rischio e ha falsamente affermato che la tempesta stava diminuendo. Poi, nel mentre intere aree della città di Valencia andavano sott’acqua e le persone iniziavano a morire, il governo è rimasto in silenzio per diverse ore prima di emettere finalmente un avvertimento per i cittadini di cercare di mettersi in sicurezza.
Basti pensare che l’allarme dell’ era stato dato già dalle 7.00 di mattina, mentre l’alert della Generalitat Valenciana ha raggiunto automaticamente tutti i telefoni cellulari della provincia di Valencia solo alle 20:12 di martedì, quando l’alluvione era già in corso e molte persone erano già intrappolati in strada, nelle autostrade, nei negozi e nei centri commerciali.
Oltre a ciò al governo della provincia valenciana vengono anche addebitati ritardi nei soccorsi post-disastro.
Ricordiamo pure che quando Mazon è entrato in carica nel luglio 2023, una delle sue prime mosse è stata quella di chiudere l’Unità di Emergenza Valenciana, che era stata istituita per fornire una risposta rapida in occasione di disastri naturali. Le organizzazioni sindacali e i movimenti sociali chiedono ora a gran voce la sua rimozione dall’incarico. Ma si sa, i politici sono sempre piuttosto attaccati alla poltrona…
Le responsabilità si allargano anche al campo dei datori di lavoro. Si è saputo, per esempio, che mentre i quartieri a sud di Valencia si allagavano, Ikea intrappolava i suoi lavoratori all’interno dei suoi magazzini, Uber Eats e Glovo costringevano i corrieri a fare i soliti percorsi di consegna e ad affrontare acquazzoni torrenziali in bicicletta e scooter, mentre Mercadona, la più grande catena di supermercati del paese, faceva lo stesso con i suoi fattorini costretti a guidare verso fiumane di acqua e fango, finendo poi per essere salvati dai soccorritori. Le aziende, anche con l’alibi dell’allarme tardivo della protezione civile, hanno continuato a costringere i propri dipendenti a lavorare e consegnare, o li hanno costretti a coprire i turni nel bel mezzo del caos (solo alcuni luoghi di lavoro pubblici, come l’Università di Valencia, hanno reagito in tempo mandando a casa i loro lavoratori con cinque ore di anticipo per evitare situazioni rischiose). Ancora una volta, come già visto con la gestione statale durante l’epoca Covid, si è messo l’interesse produttivo ed economico del sistema capitalista al di sopra della vita delle lavoratrici e dei lavoratori.
Del resto, come ha scritto la sezione anarco-sindacalista della CNT-AIT della regione del Levante, “non è possibile fare appello alla buona volontà dei datori di lavoro, la loro natura è quella di cercare il profitto”.
Gli individui appartenenti alle classi sfruttate, come è ovvio, sono sempre i più colpiti nel verificarsi di questi accadimenti. Sia perché vivendo in quartieri periferici questo gruppo sociale è spesso costretto a spostarsi per lavoro, sia perché questi stessi quartieri sono coinvolti dal processo dell’urbanizzazione selvaggia: pensiamo solo alle speculazioni legate alle concessioni edilizie dei centri commerciali. Nel caso delle alluvioni, si è dimostrato come i quartieri operai periferici siano stati costruiti nel corso del tempo in aree non idonee o a forte rischio, dove le amministrazioni locali hanno permesso lo sviluppo di un’urbanistica speculativa assassina su terreni meno costosi.
Non è allora un caso se osservando le aree a più alto e a più basso reddito degli abitanti all’interno di una città, ci si rende conto che le aree costruite su terreni più elevati corrispondono a quelle dove anche i redditi sono più elevati e, viceversa, chi sta in basso nella scala sociale abita anche le aree più basse.
Ad aggravare il tutto, oltre al consumo di suolo, c’è il consumismo. A Valencia, dato che le autorità locali non avevano emesso nessun allarme fino alle 20.12, martedì pomeriggio al momento dell’inondazione anche i negozi di abbigliamento, i ristoranti e i cinema erano rimasti aperti con centinaia di persone al loro interno e in giro per strada con le auto. Molte vittime dell’alluvione di Valencia sono state sacrificate perché il feticcio della merce, nelle società odierne, è più importante della volontà e della capacità di valutare cosa è meglio fare in situazioni di pericolo.
Così le immagini delle enormi cataste di auto nelle strade dopo l’alluvione sono diventate l’immagine plastica di come la natura possa spazzare via in un attimo la nostra esistenza consumistica: “l’automobile, simbolo dell’individualismo e del capitalismo consumistico, è tornata a essere una trappola, come nel caso degli effetti delle sue emissioni o degli incidenti”.
Di fronte a questa catastrofe l’unica nota positiva è quella della solidarietà dal basso che, come si era verificato per le alluvioni in Emilia-Romagna, si è mobilitata all’istante anche a Valencia. Una fiumana di persone armate di pale, tira-acqua, taniche d’acqua, provviste di cibo e indumenti è giunta subito a piedi dal centro città e da altre località verso i quartieri periferici epicentro dell’alluvione. Una mobilitazione dal basso, che le istituzioni hanno vanamente tentato di ostacolare con divieti di accesso, limitazioni e sostituzione dei volontari con personale militare. Come già visto anche nel contesto romagnolo, quando lo Stato mette in moto la gestione dei “soccorsi” lo fa unicamente per legittimare la sua esistenza di fronte all’opinione pubblica e annullare le spinte autonome che si creano in maniera spontanea.
E’ interessante ed estremamente lucida l’analisi che ne dà la già nominata sezione della CNT del Levante: “di fronte alla catastrofe, la prima cosa che fa [lo Stato] è mantenere l’ordine costituito di fronte alle esigenze di un popolo che ha perso tutto e che ha bisogno di andare avanti. Lo Stato e le sue forze di sicurezza arrestano chiunque violi la proprietà privata; mentre mancano ovunque mani e mezzi, questo elemento coercitivo non manca fin dall’inizio. Li chiamano saccheggi o razzie per criminalizzare ciò che è una necessità in situazioni eccezionali; i media danno eco a questi temi quasi aneddotici per dare la sensazione di pericolo sociale e giustificare una durissima repressione contro le vittime. Ora anche i gruppi reazionari si aggiungono a questo falso allarme sociale, per pescare nella visceralità di questi giorni, organizzando pattuglie paramilitari che girano per le strade difendendo beni privati, assicurati in anticipo, e che potrebbero servire ad alleviare situazioni gravi. Difendere la proprietà privata non è aiutare il popolo, è aiutare il capitalismo, l’espropriazione sociale della proprietà privata è un diritto quando ci viene negata la sussistenza come insieme sociale. La seconda reazione dello Stato di fronte al vuoto gestionale strutturale e alla conseguente organizzazione sociale spontanea è quella di dispiegare un gran numero di forze dell’ordine, non tanto per alleviare o aiutare, ma per controllare le reazioni di disagio che derivano dalla rottura culturale di credenze sociali consolidate” (*).
Ma malgrado i tentativi dello Stato, questa mobilitazione dal basso c’è.
Si è espressa in maniera molto chiara quando il Re Filipe, il premier spagnolo Pedro Sanchez e lo stesso Carlos Mazon hanno provato a fare la loro passerella istituzionale due giorni dopo l’alluvione. A Paiporta, uno dei comuni della comunità valenciana più direttamente colpiti, l’accoglienza ai tre squallidi personaggi è stata data con sassi e fango, al grido di “assassini!” e le macchine della scorta sono state prese d’assalto a calci e bastonate. Sanchez ne ha anche rimediato una piccola bastonatura. Buone pratiche che si dovrebbero mettere in atto quando personaggi simili tentano di banchettare sulle disgrazie del volgo.
Lo Stato cerca anche stavolta di rassicurare l’opinione pubblica brandendo il mantra del “ritorno alla normalità”, frase pronunciata già durante l’epoca Covid. Una normalità fatta di sfruttamento lavorativo a beneficio dei proprietari, di distruzione degli ecosistemi e cementificazione forsennata, di crescita economica senza fine e cosiddetto “sviluppo sostenibile” (le due facce della stessa medaglia). Una normalità che si perpetua attraverso la produzione di merci, di rifiuti, di nocività, di veleni, di inquinamento, di calamità e di malattie e che sempre più ci sta presentando il conto per quel benessere sociale di cui a beneficiare sono solamente i soliti noti. E se ci sono palesi analogie tra la normale gestione statale di un “disastro naturale” e di una epidemia virale, come già detto e scritto durante l’epoca Covid è proprio questa normalità il problema che dobbiamo superare.
Piccoli Fuochi Vagabondi – Novembre 2024
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* Il testo dell’analisi della Confederación Regional de Levante de la CNT-AIT:
https://levantecntait.wordpress.com/2024/11/05/regional-como-el-capitalismo-agrava-el-desastre-comunicado-de-la-cnt-ait-del-levante/