L’epidemia del Sars-cov-2, ovvero del tipo di coronavirus che provoca la malattia da Covid-19, che colpisce soprattutto il sistema respiratorio-polmonare ma non solo (postumi di varia natura sono stati per esempio riscontrati nel sistema nervoso del cervello) e in modo grave soprattutto persone a rischio – anziani o chi presenta altre malattie concomitanti (…ma non solo!) – ha mostrato a tutto il mondo i limiti e le colpe del sistema burocratico-capitalista in cui viviamo. A livello planetario, infatti, il virus si è propagato per responsabilità diretta di chi regge questo sistema, insomma di chi detiene il potere.
Erano già anni che chi studia come si evolvono e mutano i virus aveva messo in guardia le istituzioni e i governanti del mondo sul fatto che il modello di produzione e distribuzione capitalista avrebbe causato nuove epidemie ed il salto di qualche virus fra le diverse specie animali e l’umana.
La deforestazione di ampie aree naturali, l’allevamento intensivo su spazi prima verdi e floridi, il contatto ravvicinato tra gli esseri umani e i loro animali addomesticati/allevati e gli animali selvatici portatori di patogeni, non poteva che provocare prima o poi un salto di specie compiuto da un qualche virus sconosciuto. Così avveniva in passato, così avviene anche oggi ma con la differenza che se un tempo l’economia non era globalizzata ma localizzata, oggi invece il mondo in cui viviamo è strettamente interdipendente. Così questo virus – identificato in un primo momento come “cinese” – ha potuto viaggiare in business class e in giacca e cravatta sugli aerei di linea, diffondendosi da un paese all’altro lungo le traiettorie tracciate dal mercato globale e dalla distribuzione delle merci, soprattutto laddove la presenza umana è esageratamente concentrata: le città.
A dire il vero c’è anche chi non crede al sorgere spontaneo di questo nuovo virus (dimenticando che i virus e il salto tra specie fanno parte delle dinamiche naturali) ma pensa invece che sia stato creato in laboratorio e in qualche modo sfuggito al controllo degli scienziati. Non ci sono dati a suffragio di questa teoria, ovviamente, ma ammettiamo per un momento che sia vera. Questo che cosa cambierebbe? Rimane pur sempre il fatto che la diffusione è avvenuta perché questo virus ha avuto a che fare con QUESTO mondo e non con un altro, con QUESTO modello di produzione/distribuzione/consumo delle merci e non con un altro. Non cedendo alle derive complottiste di chi vede ovunque congiure ordite da pochi super-potenti che siedono nascosti in qualche buio palazzo, allora possiamo mettere un punto fermo nell’analizzare chi porta la responsabilità oggettiva della diffusione e della distribuzione del virus, e anche della conta dei morti: l’organizzazione capitalista.
L’inetta burocrazia amministrativa degli Stati di fronte all’epidemia – che è stata anzi amplificata dai tagli alla sanità, dalla mancanza di posti letto e di personale medico e infermieristico, dalla rarefazione della medicina del territorio, nonché dalla volontà di far rimanere aperte le fabbriche e le produzioni non essenziali – ha fatto il resto!
L’unica cosa – la sola! – che gli Stati han saputo organizzare in tutto il mondo, in modo davvero plateale, è stata la risposta poliziesca: imposizione dell’isolamento domiciliare e di coprifuoco, decreti da stato d’eccezione, militarizzazione dei territori, controlli per le strade, abusi in divisa, multe, droni, app di tracciamento dei contatti. É quello del resto il loro campo, quello in cui eccellono!
L’individuazione e la caccia all’untore di turno – dall’anziano che passeggia col cane, al genitore che porta il figlio al parco, fino al corridore solitario che fa jogging per strada e ultimamente anche i giovani e la “movida” – è stata pensata per far assumere agli individui il ruolo di sbirri di sé stessi e spostare l’attenzione sui meri comportamenti individuali. In questo modo, in Italia, con immensa gioia di Confindustria, le fabbriche hanno potuto continuare a produrre e le lavoratrici e i lavoratori a contagiarsi, questo mentre gli ospedali del nord industriale, snodo della logistica, collassavano con le loro deficienze. Ai governi non restava che chiedere aiuto alla sanità privata, ricompensata successivamente con donazioni milionarie.
A decidere queste misure, in Italia come nel resto del mondo, sono state task-force e “comitati tecnici scientifici” imbottiti di manager, amministratori delegati di aziende ed economisti, che hanno dettato ai vari governi le procedure con cui dovevano “operare” (nel linguaggio medico).
Didattica a distanza, tele-lavoro “smart”, acquisti su internet! Alla fine si è chiuso tutto, perché non si voleva chiudere quel poco che serviva. Poi appena sono calati i contagi, è arrivata la famosa “Fase 2”, dove alla riapertura di negozi e scuole, gli stessi “esperti” hanno sviluppato le linee guida per la “ripartenza” (una terminologia traslata dal gergo economico).
Tanto perché lo sappiate, tra chi ha fornito le linee guida per quanto riguarda il mondo del lavoro e della scuola al Cts (Comitato tecnico-scientifico) c’è anche la Fondazione Bruno Kessler di Trento, specializzata – tra le altre cose – in intelligenza artificiale e sviluppo di strumenti bellici in collaborazione con università di mezzo mondo. La Fondazione Kessler a fine settembre ha terminato una prima sperimentazione su una quarantina di bambini di due colonie del trentino, sull’uso di un marsupio con sensori per il tracciamento dei contatti (“contact tracing”) per controllare le interazioni personali e favorire il distanziamento sociale tra i bambini. L’intenzione è quella di estendere la sperimentazione di questo congegno per il controllo sociale a varie scuole.
Questo per dire: “nulla sarà come prima”? Certo! Ma sarà meglio di com’era o sarà invece ancora peggio? Questo dipende anche da noi, da quello che vogliamo. Non ci sono destini prestabiliti.
Ancora oggi vediamo risalite localizzate dei contagi, con focolai sparsi sviluppatisi nel mondo del lavoro, mentre nella scuola si chiudono e si mettono in quarantena le classi dopo i prevedibili studenti risultati positivi. Ancora non ci siamo liberat* da questo virus, ma non è una possibilità remota che nel prossimo futuro possa esserci una nuova epidemia, un nuovo virus che farà il salto di specie dall’animale non umano all’animale umano. Se ciò accadesse – magari con dei virus che potrebbero fare danni maggiori di questo – è possibile che ancora si possa propagare in tutto il mondo, dati i rapporti di interdipendenza economica che implica il sistema neoliberista.
È possibile che avremo a che fare ancora a lungo, quindi, con l’incapacità tipica dello Stato nell’affrontare situazioni simili, che sempre si muoverà – non potrebbe fare altro! – tra inerzia, limitazioni assurde e disciplinamento di tipo poliziesco e tecnologico.
In attesa della prossima catastrofe, possiamo chiederci che cosa possiamo fare. Possiamo stare al tavolino a sorseggiare il nostro spritz contente e contenti (e con contanti!) perché possiamo farlo finché lo vieteranno di nuovo, dimentiche e dimentichi di ciò che è successo e sperando che la prossima volta possa andare meglio (“andrà tutto bene”, vero?), senza fare nulla affinché ciò si verifichi sul serio (ovvero lottando per cure garantite a tutt* e prendendoci cura l’un l’altr*) ma limitandoci ad accettare ogni correzione decisa dall’alto, pur ininfluente.
Oppure possiamo intanto partire – il che non è poco! – dal rifiutare l’accelerazione poliziesca e tecnologica delle nostre vite che il virus ha portato con sé e con cui il capitalismo e l’ordine neoliberista stanno provando a ri-consolidarsi. Soprattutto rifiutiamo di adottare soluzioni tecnologiche al posto delle relazioni col reale. Incontriamoci, discutiamo, confrontiamoci. Magari con il dovuto buon senso. Organizziamoci orizzontalmente, in modo non gerarchico. La comunicazione ha bisogno di comunità, di modo che il cambiamento parta dal basso.
Piccoli Fuochi Vagabondi