Sul buonsenso e la sua mancanza ai tempi del contagio

Sull’argomento coronavirus, Covid-19, ordinanze, eccetera, si sono dette tante cose.Chi ha minimizzato parlando di una semplice influenza, chi per tener fede ad un’anima complottista continua a pensare che il virus sia un’invenzione di chissachì, chi invece esagera al contrario e minaccia di prendere il fucile contro coloro che considera “irresponsabili” perché con l’uscire dalla porta di casa aumenterebbero da soli il contagio.
Insomma, l’interpretazione non potrebbe essere più varia e, spesso, il buon senso ne esce malconcio.
Sicuramente ci sarebbe molto da parlare riguardo a chi, anche in ambito militante, ha considerato o continua a considerare la comparsa di un virus che provoca una forma di polmonite abbastanza grave una frottola, solo perché a riferire dell’epidemia sono state le “autorità”, sanitarie e politiche.
Come se la diffusione di un’epidemia al tempo della globalizzazione fosse una cosa così improbabile.
Come se la devastazione della terra, il disboscamento degli ambienti naturali per far spazio ai conglomerati urbani con la conseguente contiguità tra animali selvatici e umani, l’allevamento intensivo, l’inquinamento atmosferico e la diffusione di una mole gigantesca di scarti e rifiuti di ogni sorta non fossero già una spiegazione sufficiente per sapere che epidemie di questo genere non solo sono possibili, ma saranno probabilmente sempre più diffuse se la china continuerà ad esser questa e non sono altro che il risultato sempre più evidente del modello di sviluppo capitalista.
Come se avessimo bisogno che un’autorità ci dica cosa fare, e non fossimo invece in grado di valutare da noi, attraverso il nostro buon senso, i comportamenti più opportuni da tenere in una circostanza piuttosto che in un’altra.

Anche di fronte a svariate migliaia di persone morte, soprattutto tra le categorie più deboli come gli anziani o i malati, alcune persone hanno scrollato le spalle, basandosi sull’argomento che avrebbero fatto quella fine comunque, prima o poi (ma dimenticando che un prima o un poi fa grande differenza). Un approccio per niente pensante, che si potrebbe prestare anche a congetture estreme come la possibilità di una sorta di eugenetica per le persone “non più produttive”, i “vecchi” che intasano gli ospedali, facendo lievitare i costi per tutti, e che per questo potrebbero essere abbandonati a loro stessi perché “intanto sarebbero morti tra qualche anno” o “alla prossima influenza”.
Ed infatti – non bisognerebbe mai smettere di farlo notare! – è accaduto proprio questo: in molti casi gli anziani e le persone malate, certo non per colpa del personale sanitario ma per colpa dell’organizzazione istituzionale nella sanità pubblica, sono stati lasciati morire a casa loro, senza assistenza medica specifica, perché negli ospedali le macchine per la terapia intensiva erano insufficienti, per i noti tagli al sistema sanitario che tutti sappiamo e di cui i politici di ogni colore sono i primi artefici.
Gli ospedali, di fatto, sono stati costretti a scegliere chi curare e chi no. Addirittura non solo le attrezzature di terapia intensiva si sono dimostrate insufficienti, ma sono mancati perfino i tamponi per verificare se una persona era positiva o meno.

Questo aspetto dovremmo farlo notare più spesso. Dovrebbe essere uno degli ambiti di pertinenza per alcune delle lotte future. Almeno per rompere i piani delle prossime privatizzazioni, che vorrebbero trasformare la salute delle persone in un affare completamente privato, sull’esempio degli Stati Uniti, dove chi ha i soldi può permettersi le cure di cui ha bisogno mentre chi non li ha può pure crepare all’angolo di una strada. Ma forse anche questa volta si preferirà dire, come pure in altri ambiti (dalle lotte nel lavoro salariato a quelle per la casa) che questo è un piano che non compete ai rivoluzionari, che la difesa della sanità pubblica è un tema da lasciare ai “riformisti”, che la branca della medicina è tutta una merda ed intanto si resterà a guardare mentre la nostra salute cade nelle mani delle aziende private e dell’industria farmaceutica.
Certo, il tema della salute collettiva è complesso e scivoloso. A cominciare dal fatto che, come abbiamo visto, la gestione pubblica di un servizio essenziale come quello sanitario non è scontato sia una garanzia di efficienza organizzativa. Anzi, proprio questa epidemia ci ha mostrato, semmai, tutto il contrario. Ma è appunto su questo piano che dobbiamo intervenire, indicando le falle e le contraddizioni della gestione statale di beni e servizi che servono alla collettività e puntare a dimostrare che questi sarebbero più funzionali se lasciati nelle mani delle persone e dei lavoratori dei vari settori, e cioè autogestiti.
Qui si aprirebbe un discorso immenso, però, su quali beni e servizi sono davvero essenziali (è un dato di fatto che lo Stato ha abbandonato la produzione di mascherine, perché ha pensato che non lo fossero) e su come fare a reperirli in una dimensione autorganizzata.
Ma chi liquida questo discorso solo per le difficoltà oggettive di trovare risposte subito attuabili o perfettamente coerenti, non pensa di stare abbandonando un argomento utilissimo per attaccare lo Stato proprio sul piano della gestione dei beni e dei servizi? Oppure lo Stato lo si attacca solo durante le manifestazioni di piazza e non anche, per esempio, costruendo una rete autogestita di ambulatori medici, come hanno fatto i compagni e le compagne in Grecia alcuni anni fa, in occasione della crisi economica, sottraendo il tema della salute collettiva alla gestione statale?

Certo, costruire da zero una rete simile è ben più difficile che lanciare un sampietrino in testa ad uno sbirro, anche se la cosa fa sempre piacere. Ma la domanda è: si può attaccare lo Stato, dire che questo è una sciagura e poi non offrire nessuna alternativa alla sua gestione di beni e servizi – un’alternativa vera, pratica, replicabile nei luoghi dove viviamo?
In questa direzione ben poco si è fatto finora e non sembra ci siano indicazioni per poter dire, di punto in bianco, che lo si farà domani; purtroppo un tema così complicato e di difficile attuazione pratica non è mai stato preso realmente sul serio in Italia, forse perché spaventa per la mole di lavoro da mettere in piedi.
Quindi, si diceva, lo Stato, il governo, le Regioni – non solo in Italia, valga ancor più l’esempio degli Stati Uniti – hanno attuato proprio quest’approccio cinico del dire “tanto gli anziani, i malati e i poveri devono morire lo stesso” e lo hanno messo in pratica, per salvaguardare la loro organizzazione socio-economica che deve tutelare gli interessi delle imprese private (lo stesso cinico atteggiamento lo abbiamo visto con la volontà di tenere aperte le fabbriche per assecondare le richieste degli industriali, mettendo così a repentaglio la salute e la vita di migliaia di lavoratori, oppure con le gestione delle rivolte nelle carceri, dove invece di misure alternative alla detenzione si è preferito uccidere 14 persone e massacrarne molte altre).

Questo approccio, come è stato detto, è stato fatto proprio da alcune persone considerate intelligenti e sgamate prima che iniziasse questa epidemia, che quando han sentito annunciare le prime misure per contenere il virus han pensato: “il virus è tutta una balla, i vecchi sarebbero morti lo stesso!”. Questo voler andar sempre contro il senso comune, per voler apparire ad ogni costo bastian contrario, si è tradotto a volte nell’abbandono del buon senso.
Certo, questo non significa dover abboccare ad ogni cosa letta o sentita (ma appunto esiste il buon senso) e, certo, senso comune e buon senso spesso, anzi spessissimo non vanno di pari passo.
Difatti, ci apprestiamo ora a passare nel campo degli “onesti cittadini” che si sono scagliati per tutto questo tempo contro le condotte individuali, indicate come le “vere” responsabili della diffusione del contagio.

Non è un segreto che, di fronte alle varie ordinanze che via via hanno sacrificato le nostre libertà, alcune davvero ignobili e assurde e che hanno dato la stura alle forze di polizia per mettere in atto il loro solito repertorio di abusi e prepotenze, ci sia stato qualcuno che si è sentito in dovere di agire alla pari del poliziotto, mettendosi a spiare i comportamenti del vicino, dell’estraneo, del passante, considerati tutti come possibili “untori” del virus.
“Untore” è una parola che si usava durante in medioevo e stava ad indicare chi, in modo volontario, diffondeva la peste. Si converrà che essere indicati oggi come “untori” non sia quindi molto piacevole. Chi, di volta in volta, è stato indicato come veicolo del virus – da chi portava a spasso il cane a chi faceva una corsa, fino a chi portava al parco il figliolo – è stato apostrofato con ingiurie e minacce e a volte ha subito vere aggressioni fisiche, anche quando rispettava il distanziamento corporeo precauzionale di almeno 1 metro dalle altre persone.
L’ “untore” ha soppiantato, di questi tempi, per un immaginario collettivo già abituato a vedere nell’altro un capro espiatorio, l’immigrato di turno. Additato al pubblico disprezzo, fotografato, filmato, denunciato alla polizia o postato su facebook.

Alla lista di “untori” di cui sopra, recentemente, si è aggiunta inoltre la categoria di coloro che escono di casa senza mascherina. Qui le aggressioni e i pestaggi degli “onesti cittadini” sono arrivati ancor prima dell’apposita ordinanza del Governo, dato che quest’ultima ha imposto l’obbligo della mascherina solo successivamente alle prime notizie di assalti ai non mascherati.
Si segnala quindi un passaggio importante, perché l’attacco alla libertà altrui, in questo caso, è avvenuta solo in un secondo momento da parte dell’autorità costituita, mentre i primi che l’hanno realizzata sul piano concreto sono stati proprio questi piccoli patetici sceriffi-cittadino.
Un aspetto su cui forse, però, non si è riflettuto abbastanza, è un altro. Partiamo dal fatto che c’è un’ampia documentazione su questo vero e proprio sport della “delazione di vicinato”, che con il campionato sospeso ha soppiantato il calcio. Con le partite ferme, l’italiano medio ha dovuto trovare un altro svago e c’è chi lo ha trovato in questa attività d’infame a tempo pieno, che è stata abbastanza documentata da diversi quotidiani e, in ambito più vicino ai movimenti, su blog e siti come ad esempio Giap dei WuMing.
Quello che è più difficile trovare nelle diverse testimonianze, tuttavia, è una ricerca sulla composizione sociale dei delatori e delle delatrici. In pratica, chi è che fa l’infame più degli altri?

Sono i giovani? Sono forse le persone più anziane, preoccupate di essere la categoria più a rischio di fronte ai comportamenti individuali delle altre persone?
O, ancora, sono invece le persone senza figli, senza cane e non in perfetta forma fisica, invidiosi di chi porta al parco il primo, a sgambare il secondo e che non si possono permettere di andare a fare jogging, quindi non possedendo giustificazioni plausibili da addurre per uscire di casa, se non per andare a fare la spesa?
In chi scatta quel senso d’invidia, quel risentimento psicologico per cui “se non posso andare a passeggiare io, non ci devi andare neanche tu”? Purtroppo non disponiamo di statistiche del genere. Sarebbe molto interessante capire cosa porta una persona a diventare un feroce mastino a guardia dello spazio pubblico, perché e in chi.
Sembra di poter capire, però, ed è questa la cosa rilevante, che se a livello di composizione sociale non possiamo esprimerci per mancanza di dati certi, diverso è il caso della composizione politica: sembra infatti che lo “sport” della delazione abbia trovato tifosi di ogni ideologia.

Non solo i fascisti, che era cosa scontata (a dire il vero, abbiamo visto anche l’assurdo di fascisti patentati, che una dittatura la esaltano e la invocano da tempo, contestare la “dittatura” delle ordinanze). Sono stati contagiati dal virus della delazione anche insospettabili personaggi “di sinistra” (mettiamo pure le virgolette) quando non addirittura alcuni che si dicono comunisti o perfino libertari (senza capire quindi il senso della parola). Alcuni di questi si sono riscoperti veri e propri “ultras” di questa nuova disciplina agonistica! Comunisti che si mettono ogni giorno alla finestra o a commentare sui “social” gli articoli dei media ufficiali che riportano notizie di persone pizzicate a passeggiare col cane e naturalmente giù coi post di rimprovero, dal solito tenore: “sconsiderati, bisognerebbe arrestarli tutti”; “a casa, lo volete capire che dovete restare a casa!”; “ci vogliono più controlli, ci vogliono!”; “se vi trovo vi spacco le gambe, così vediamo se andate ancora a correre” ed altre finezze di questo genere.

Sconvolge che a scrivere cose del genere non sia appunto il fascio amante dell’ordine e della disciplina, delle divise e del rispetto per l’autorità ma persone che tra loro si chiamano compagne e compagni e che dovrebbero desiderare un mondo completamente diverso.
Senz’altro tra questi ci sarà anche chi ha cantato a squarciagola l’inno d’Italia dai balconi, assieme ad altri migliaia di dementi, e messo il tricolore accanto al cartello “Andrà tutto bene”. E magari anche chi ha criticato i lavoratori in sciopero costretti al lavoro senza protezioni perché “ora non è il momento, ora siamo tutti sulla stessa barca” oppure ha lanciato strali polemici contro lo sciopero degli affitti da parte di chi, non potendo lavorare, non ha nemmeno i soldi per poter pagare, in questo caso andandosi a schierare volutamente tra i difensori della proprietà privata.
Ecco, arrivando alla conclusione di questo scritto, volevamo dire a questa brava gentaglia, a questi traditori degli stessi valori che dicono essere i loro: no, non siamo tutti sulla stessa barca.

Sulla barca con i padroni delle fabbriche, con i proprietari delle seconde e terze case e con i palazzinari, con i politici, con il governo, con i nazionalisti, con le forze di polizia ci siete saliti voi e lo avete fatto volontariamente. Sicuramente è la VOSTRA di barca, non certo la nostra!
Su quella barca potete anche affondare assieme a questa comitiva, ma non pensate di trascinarci con voi nel gorgo! Voi, sedicenti persone “di sinistra” e comunisti dei nostri stivali che vi siete messi, consapevolmente o meno, dalla parte degli sfruttatori, voi ci fate schifo!
Questo volevamo dire e questo gli diremmo in faccia, ma probabilmente finiremmo per rimanere inascoltati, tanta è la bramosia di dimostrare di essere dalla parte giusta. Che poi, diciamocelo, è la parte di chi ha il potere, di chi dispone del potere contro chi non ce l’ha.

Piccoli Fuochi Vagabondi